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Cristian Patanè, tra Giffoni e web series: “Immagino il cinema che andrò a fare fuori dal sistema”

Cristian Patanè

Cristian Patanè

di Mattia Papa

Nato ad Avola in provincia di Siracusa, classe ‘91, Cristian Patanè è un giovane regista di origine siciliane. Appassionato di Dostoevskij, Beethoven e Kant, si definisce un onnivoro della cultura. Ad oggi, dopo anni di preparazione tecnica e svariati premi per la sua bravura estetica, “apprezzata sempre e comunque” dice, nel corso della sua produzione artistica, si prepara all’uscita della sua ultima sperimentazione: “The last samuchef”, web series a metà strada tra format e fiction (nonché blog dedicato all’educazione alimentare), prodotta dalla Kαρδία Film (Kardia Film), giovane casa di produzione composta dai giurati alla masterclass (i giurati che si sono contraddistinti di più negli anni e che si sono distinti per estro o forme di talento) del Giffoni Film Festival e di cui Patanè è tra i fondatori nonché Amministratore delegato.

Cos’è la Kαρδία Film?
Dovrei rispondere una casa di produzione, ma in realtà è un esperimento, in cui stiamo cercando di fare un tipo di produzione che è quasi ad impatto zero sui costi, unendo le vecchie tecniche cinematografiche alle nuove tendenze dell’informazione e della tecnologia. Kαρδία – che in greco significa “nòcciolo” – suggerisce qualcosa di ancestrale: da qui il paradosso verso il quale tendiamo. Un nome antico per raccontare nuove esperienze cinematografiche.

Lavori in corso al momento?
Stiamo facendo tanti piccoli lavori, accogliendo anche nuove anime che sono interessate ad entrare nella realtà cinematografica e imparare il mestiere. Al contempo stiamo anche sperimentando una nostra idea di prodotto. È una grande conquista, perché siamo riusciti a trovare la strada per produrre i nostri lavori e nel contempo essere un buon servizio, dato che comunque – lasciamelo dire – come ‘mestieranti’ ce la caviamo nonostante la nostra giovane età (abbiamo tutti meno di 30 anni).

Ovviamente, tra gli altri esperimenti, c’è anche The last samuchef, serie web che tiene dentro anche un format di cucina. Come è nata l’idea?
L’idea è nata tra amici, fondamentalmente. The last samuchef è ciò che si può definire una cosa ‘fatta in casa’, ma fatta bene. L’idea era: facciamo una cosa ‘tra di noi’ ma che sia buona tecnicamente e competitiva. Ed è così nata una serie web che nel contempo contiene un format di cucina. Il problema, però, era creare una storia che fungesse da motivo affinché un format culinario potesse essere definito anche web series.

Quale sarà quindi la storia di fondo che legherà tutta la serie?
Sfruttando la vena misterica e magica della cultura napoletana, abbiamo creato un universo magico intorno alla città: abbiamo immaginato che il mondo sia diviso in fazioni di potere, detenute da alcune divinità. Queste divinità, dovendo decidere il dio che dovrà predominare sugli altri, utilizzano un qualcosa che è comune a tutti per sfidarsi: la cucina. Ogni divinità sceglie il suo campione. Da qui parte una gara che porterà a selezionare la divinità predominante. Samuchef è una di queste divinità, che entra in contatto con Mattia attraverso un incidente. La divinità gli appare come una visione e lo addestra, in prospettiva di questa fantomatica gara, alla magica e antica arte della cucina. Mattia acquista sfumature eccentriche e si trova quindi a convivere con le sue visoni e i coinquilini che lo credono pazzo. Ed è da questo malinteso parte la storia: una casa studenti con un ragazzo effettivamente un po’ eccentrico, che però cucina benissimo poiché guidato da una divinità.

1979486_306591946165455_4623066515876590464_nAvete pensato di strutturare la serie in più stagioni?
Sì, anche se non sappiamo ancora quante. Inoltre la serie è prodotta abbassando al minimo i costi e utilizzando il cosiddetto ‘finanziamento dal basso’ (il crowdfunding). Abbiamo messo sulla rete la nostra idea e un trailer della serie e abbiamo detto: se vi piace e volete che questa cosa esista, date un piccolo contributo. Ora, se il contributo supera i 5 euro, si avranno ricompense, come gadget o la partecipazione sul set, il dvd della serie e un corso vero e proprio di cucina. Il nostro obiettivo è raggiungere €3.500 affinché possano partire tutte le strade del nostro progetto, come il blog dove si scriveranno le ricette della serie, un video blog di cucina alternativa condotto da uno chef che vive attualmente a Londra. Poi ovviamente la pagina facebook. Per il momento siamo a €2.900. Inoltre abbiamo trovato anche due sponsor: uno è Nambio, l’orto biologico di Salerno; l’altro non lo posso ancora ufficializzare, poiché siamo in trattativa.

Perché non ci racconti ora la tua esperienza cinematografica? Partiamo dalle origini.
La mia prima esperienza cinematografica da regista è stata a 13 anni, però fin da piccolo ho avuto rapporti con il dispositivo di rappresentazione. Il teatro, la fotografia, erano cose che mi interessavano molto. La rappresentazione, in tutti i suoi vari formati. Diciamo che il primo passo verso i dispositivi ottici (ossia le mie prime fotografie) risalgono a quando avevo 8 anni. Comunque sin da piccolissimo sono affascinato dal ‘filtro ottico’ come strumento per comunicare qualcosa.

In che senso comunicare qualcosa? Un’immagine (e in particolare l’immagine cinematografica) comunica qualcosa, secondo te?
Non per forza si deve parlare di cinema come comunicazione. Se ne parliamo in questo senso, in primo luogo c’è da dire di che tipologia di cinema intendiamo. Perché il cinema, essendo non solo un mezzo di comunicazione, ma anche espressione artistica, può essere tantissime cose. Come mezzo di comunicazione, deve esserci una voce che sta comunicando e vuole comunicare ai più qualcosa, che può essere di stampo propagandistico, consumistico o di denuncia sociale, ad esempio.

Quando allora il cinema diventa arte, secondo te?
Se esiste un cinema che è definibile arte, sicuramente è un cinema trasversale. Esso deve poter arrivare a tutti in maniera incondizionata, è questa la cosa affascinante: il regista, colui che ha avuto la ‘visione’, attraverso il suo linguaggio riesce ad arrivare ad una forma di universalità rappresentando la realtà. Ma per realtà non si intende solo quella comunemente detta, ma la si deve guardare anche come immagine del proprio mondo attraversata. Ma la realtà comprende anche altre dimensioni, come il sogno ad esempio.

Giffoni_Film_FestivalTi definisci un artista in crescita, che sta ancora definendo il suo linguaggio. Quale il tuo orizzonte di riferimento?
Sicuramente il cinema italiano della grande stagione. Antonioni fra tutti. Antonioni perché il tipo di storie e il linguaggio che utilizza per narrare quelle storie, è vicino al mio modo di narrare, benché io lo stia ancora cercando. Ma è sicuramente quello che sento più vicino. Nel suo cinema c’è un’esistenza che può cadere nei cortocircuiti temporali, temi profondamente esistenziali e che sono narrati con un gusto e un livello di messa in scena tecnica che sono fantastici esteticamente, e con un’intensità e profondità riflessiva talmente alta Eppure così lucida da poter essere espressa attraverso il cinema in maniera semplice, lineare. Il cinema di Antonioni era davvero una riflessione esistenziale sull’uomo. Poi certo, amo molto anche Fellini, con il suo mondo onirico, e Bertolucci, con la sua eleganza e i suoi movimenti di macchina.

Sei un onnivoro, come dici, di cultura. Oltre il cinema, di cosa ti interessi?
Di tutto, dalla letteratura alla musica (preferibilmente classica) e anche di scienza. Prediligo però la filosofia, o meglio, la filosofia è ciò che mi ha dato di più, benché devo molto anche Dostoevskij per il mio piccolo successo cinematografico intitolato Le notti bianche.

Quali sono allora i filosofi che ti hanno “dato di più”?
In primo luogo devo citare Socrate: ho sempre provato ammirazione per il suo metodo e il famoso conosci te stesso che è stato un punto di riferimento in molte occasioni di smarrimento nella mia vita. In particolar modo, poi, Kant mi ha cambiato molto, soprattutto la sua riflessione nella Critica dela ragion pratica. E poi c’è Hegel e la sua filosofia della storia. Ammetto di aver provato a leggere Il Capitale di Marx, ma mi sono reso conto che ci voleva una dedizione che non potevo permettermi. Mi sono ripromesso però di leggerlo integralmente, anche se in una fase più matura della mia vita.

I nostri anni sono attraversati da una grave crisi culturale in cui è la tecnologia a dettare i tempi dell’uomo al quale è sfuggito totalmente di mano il senso ultimo del suo agire. Cosa ne pensi del grave degrado in cui ci troviamo?
Credo sia una cosa fantastica, perché se la vediamo da un punto di vista storico, abbiamo visto la massima espressione dell’agire capitalistico. È un periodo di crisi, certo. Ma l’umanità non smette mai d fermarsi. Succederà come è sempre successo: ad un periodo di grande buio avverrà un periodo di luce. La discesa è finita, ora c’è da fare la salita. Non tutti ovviamente possono farcela e né vogliono. Come diceva Hegel, ci sono degli individui cosmico-storici che trainano l’umanità verso il periodo storico successivo. È sempre stato così e non vedo perché non dovrebbe ripetersi. Molti teorici chiamano questo il periodo scienza tecnologica, cioè l’iniziale adattamento alle ripercussioni che le scoperte scientifiche hanno prodotto. Il primo passo è stata la liberalizzazione delle informazioni. Ora, come si fa a combattere la crisi economica? Esorcizzando alcune parole che la crisi stessa crea provocando un certo terrore psicologico e vivendolo come un problema da risolvere, sfruttando le positività che il cambiamento offre. Quando mi sono interessato di economia, l’ho fatto tramite internet. È internet che mi ha dato la possibilità di confrontarmi con il mondo; ed essendo io un tipo molto audace, che punta molto in alto, internet è stato uno strumento che mi ha permesso di guardare immediatamente ad alte vette. L’ho usato per la mia formazione e il mio interfacciarmi con il mondo, risparmiando economicamente. Quindi, come è evidente, non è per forza un male l’innovazione. Bisogna solo saperla sfruttare. E l’uomo sta vivendo proprio questa fase di apprendimento.

locandina+cristian+pataneE il cinema può essere uno strumento per la risalita?
Certo, ma bisogna prima capire che il cinema rispecchia la condizione sociale che si trova di fronte. Se la popolazione vive un momento di forte ignoranza generale e il suo livello culturale è basso, il cinema non sarà che il riflesso di questa condizione, dovendo rispondere appunto alle esigenze che il sistema impone di gradimento. In Francia, ad esempio, è molto più apprezzato il cinema d’autore rispetto all’Italia.

E tu allora, in risposta a tutto questo, che cinema cerchi di girare e di produrre?
In questa fase sto cercando di sperimentarmi. Finora sono riuscito a costruire il mio alfabeto: so le storie che mi piace raccontare, il modo in cui mi piace farlo, la mia estetica, conosco le facce che mi interessano. Solo ora immagino il cinema che andrò a fare. Quello che sto facendo, è la possibilità di produrlo autonomamente perché mettersi appresso al sistema vuol dire non arrivare mai a fare i miei film.

Ti sei mai piegato alle leggi del Sistema?
Sì, e benché remunerativo, il Sistema non lascia la libertà d’espressione e soprattutto di migliorare: non puoi migliorare e riflettere; devi fare quello che dicono loro, seguire le leggi e i tempi di produzione. C’è troppa economia e poca passione. Se invece si lavora per se stessi, si è in grado di capire quelle che sono le proprie criticità e come migliorarle.

Cosa racconti nelle tue pellicole?
Be’, fino ad adesso ho girato solo le mie sceneggiature. E quel che ho narrato è sempre me stesso. La mia età e la mia esperienza di vita è troppo poca, quindi io riesco a raccontare solo ciò che sta all’interno della mia intimità. Non ho vissuto così tanta vita da poter raccontare anche la vita di qualcun altro. I miei personaggi sono sempre una proiezione di me stesso.
Ora però sto sperimentando: ad esempio non sto scrivendo più le mie sceneggiature, ma sto provando a leggere quelle di altri, le realizzo e le produco. È un’esperienza molto stimolante. Una seconda fase di crescita artistica. Unendo la prima di formazione con la seconda di sperimentazione, troverò poi la mia via maestra, il mio equilibrio per fare un film come dico io. Ma ci vorrà tempo: sono troppo critico nei miei confronti nonostante sia sicuro di me. Impiegherò tempo per raggiungere il livello che immagino per raccontare qualcosa come intendo io.

Si può dire che metti te stesso quando giri?
Me stesso no, ma la mia visione sì. Di me un qualcosa che è stato sempre apprezzato sempre e comunque è stata l’estetica, una certa abilità nella rappresentazione. Ma io non credo di aver fatto mai veramente emozionare qualcuno. E quella la sintesi comunicativa: arrivare dentro lo spettatore, creare empatia attraverso le proprie immagini.

Creare empatia: è questo il cinema per Cristian Patanè?
Esatto. È quella la vera sintesi comunicativa e ciò che per me è il cinema, il suo fascino e il fascino del preparare una scena. Anche perché se qualcosa manca, lo spettatore se ne accorge. Il cervello umano è una macchina finissima e attentissima ai dettagli i quali, se ci sono passano inosservati, ma se non ci sono, si avverte la loro mancanza: quella storia deve poter esistere.

Nuovi progetti che puoi rivelarci?
Ho aperto una start-up, cioè un’azienda che si chiama Giffoni Idea, ossia una piattaforma che ha lo scopo di accelerare le idee artistiche e culturali aiutando a far diventare progetti validi alla massima espressione e soprattutto a farli esistere. Il problema fondamentale nella cultura, infatti, è avere le condizioni affinché quell’opera esista, non solo farla fruire. Noi di Giffoni Idea questo facciamo: accogliamo progetti culturali e artistici facendo in modo che possano esistere mettendo a disposizione il network di Giffoni e gli spazi, le competenze, la promozione, l’attrezzatura che offre Giffoni. Giffoni inoltre si sta trasformando in una realtà molto interessante, che si sta aprendo alle idee e al mondo della cultura in senso ampio, iniziando a coltivare tutti quegli aspetti non solo in ambito cinematografico. Ed è per questo che hanno chiamato me che sto sperimentando queste diverse forme di contaminazione tra i vari aspetti della cultura e che ha una grande passione nel dirigere le persone nella creazione e messa in atto di un progetto.