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“Amerika”, Scaparro e Malcovati portano in scena l’emigrazione raccontata da Kafka

Giovanni Ansaldo AMERIKA IMG_1390Ph Salvatore Pastore Ag Cubodi Stefano Santos

Il 30 Giugno 2014 l’Italia subentrerà alla Grecia nella presidenza del consiglio dell’Unione Europea. Un passaggio di testimone tra le due nazioni più colpite dalla congiuntura economica e dalla pressione della politica di stabilità europea, in un continuo sforzo teso ad allentarne la morsa. In particolare con la presidenza del governo italiano guidato da Renzi si inaugurerà un nuovo ciclo di politiche europee, che proseguirà con le presidenze di Lettonia e Lussemburgo. Un periodo in cui l’Europa si trova a riflettere sulle proprie condizioni, sulla stabilità del disegno europeo e a metterlo nello stesso tempo sotto discussione, spinta dalle istanze dei partiti euroscettici che tanto successo hanno avuto in queste ultime elezioni.
E’ questa la concomitanza che Fausto Malcovati e Maurizio Scaparro hanno cercato di mettere in evidenza, nel ripresentare al Napoli Teatro Festival la loro traduzione e adattamento del romanzo di Kafka America, andato in scena alla Sala dei 500 del Museo di Pietrarsa, dalla prima edizione del 2000.
Componente che pervade e caratterizza tutta la messa in scena è quello della musica, ispirata alla cultura Yiddish (Hava Nagila) e al Jazz Nero di Jazz Joplin, adattate da Alessandro Panattieri e suonate dal vivo, davanti al palco e a stretto contatto con il pubblico, con lo stesso al piano, Andy Bartolucci alla batteria e Simone Salza al clarinetto.
La vicenda di Karl Rossmann, ragazzo di Praga, costretto per uno scandalo familiare ad emigrare in America, dallo ‘Zio ricco d’America’, contiene di per sé molteplici rimandi alla contemporaneità europea. A partire da quello più evidente, quello dell’immigrazione e della difficoltà per gli stati membri di trovare una politica comune e condivisa, con i nuovi e al tempo stesso antichi timori di un risorgere dell’intolleranza, con il segnale più evidente del crescente consenso con i partiti con programmi tesi a limitare fortemente l’immigrazione dai paesi extracomunitari e comunitari più poveri, se non con politiche evidentemente xenofobe. Le persone che il giovane Karl – interpretato da un talentuosissimo Giovanni Anzaldo – incontra durante le sue peripezie sembrano infatti uscire fuori da incipit di barzellette: un fuochista tedesco, una coppia di sfaccendati francese e irlandese, (Giovanni Serratore e Fulvio Barigelli), un compagno di lavoro italiano (Matteo Mauriello), una cuoca la cui madre emigrò da Praga (Carla Ferraro).
Un melting pot espressione della immagine che dell’America sembra serbare Kafka, dove si osserva una Statua della Libertà che brandisce una spada, in cui puoi rivolgere lo sguardo verso ogni direzione e trovare lavoro – il treno di assunti del Teatro dell’Oklahoma – opportunità che mancano nella nativa Europa. Aspetto intimamente connesso è il rovescio della medaglia rappresentato dai pericoli e insidie che gli emigrati trovano nei paesi che li ospitano, quello dell’emarginazione, la fragilità causata dal non avere le radici piantate nel suolo in cui camminano, esposti alle ingiustizie e alle angherie di padroni – lo Zio e il capo portiere dell’Hotel Occidental, entrambi interpretati da Ugo Maria Morosi, trasformista nel corso della recita – che si considerano ‘donatori di lavoro’, come diceva uno sketch di Rosalia Porcaro.

Giovanni Ansaldo e Ugo Maria Morosi in AMERIKA IMG_1614Ph Salvatore Pastore Ag Cubo