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L’uomo e la percezione dell’attimo: un tributo alla Polaroid

Oliviero Toscani, "Andy Warhol with camera" (1974)

Oliviero Toscani, “Andy Warhol with camera” (1974)

di Gabriella Valente

Con la fotografia abbiamo imparato che il tempo può essere congelato, che i momenti più belli possono essere gelosamente conservati in un album, o anche in una cartella del nostro computer. La cattura dell’attimo è quello che ci affascina più di questa controversa arte, ed oggi è diventato molto più semplice di quanto lo fosse negli anni precedenti. C’è inoltre un aspetto molto significativo da considerare.

La tecnologia ha fatto, e continua a fare in modo che, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione di massa, la nostra percezione del mondo e della realtà sia istantanea e il più veloce possibile. Difatti noi percepiamo la realtà in un modo completamente differente grazie ai nuovi social network, che garantiscono la ricezione di notizie ed informazioni in tempo reale. Grazie a questo nuovo modo di condividere con gli altri, anche la fotografia è divenuta uno strumento per comunicare in modo istantaneo. Non c’è tempo per lo sviluppo del rullino per condividere quell’attimo, la rete non può aspettare. Si può affermare che a questo punto diviene importante “comunicare” l’attimo piuttosto che “catturarlo”.

Gian Paolo Barbieri, "Auotportrait"

Gian Paolo Barbieri, “Auotportrait”

Ma cosa vuol dire “catturare l’attimo” in fotografia?

Prendere coscienza dell’attimo equivale al tempo che intercorre tra lo scatto e la visione dell’immagine: lo sviluppo, il lento riprender vita di quel preciso momento, vederlo formarsi sotto gli occhi. Tuttavia, questo è un procedimento lungo, che non collima perfettamente con le esigenze dei tempi moderni. Un antidoto all’impazienza fu presto trovato. La prima macchina fotografica che dava insieme la possibilità di vedere immediatamente il risultato del nostro scatto e quella di vedere la foto lentamente svilupparsi sotto i nostri occhi fu la Polaroid.
La Polaroid Corporation nacque nel 1937, per opera di Edwin Land. Nel 1948, grazie alla collaborazione del fotografo Ansel Adams, sul mercato comparve la prima Polaroid, la prima macchina fotografica istantanea. Bastava inserire il foglio di pellicola, scattare ed aspettare qualche minuto, ed ecco che l’immagine di quel momento comincia man mano a venir fuori come per magia.
Questa macchina, per molti artisti, rappresenterà una tela su cui imprimere il proprio tocco personale.

Joyce Tenneson, "Suzanne in chair" (1987)

Joyce Tenneson, “Suzanne in chair” (1987)

La necessità dell’ istantaneo, non toglie nulla alla possibilità di prendere coscienza di quell’attimo per renderlo unico attraverso la sperimentazione. La colorazione con vernici, il trasferimento delle immagini su materiali come cera d’api, vetro, seta: in questo modo si poteva raggiungere la propria personale visione di quell’attimo.

Oggi la possibilità di sperimentare l’istantaneo è divenuta una necessità impellente, un compito dal quale quasi sembra impossibile esimerci. Basta un click ed una veloce visualizzazione dell’immagine dallo schermetto interno di una compatta o di uno smartphone ed il gioco è fatto. Più istantaneo di così, come potrebbe essere? Ma vivere l’istantaneo fino a sentirsi schiavi di esso, quanto penalizza la nostra personale visione di quell’attimo?

Jo Whaley, "Atomic Tea Party vol. 2" (1993)

Jo Whaley, “Atomic Tea Party vol. 2” (1993)