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“Una nuova stagione di politiche industriali”: l’Unione degli Industriali di Napoli riflette sull’economia del Sud. Squinzi: “Il Mezzogiorno al centro della politica economica”

Logodi Stefano Santos

“Una nuova stagione di politiche industriali – per il Mezzogiorno, per il futuro del paese” è il titolo del convegno dell’Unione degli Industriali di Napoli tenutosi nella sala Newton del centro congressi della Città della Scienza. L’evento ha visto la partecipazione di diverse personalità del mondo imprenditoriale e politico, e prende le mosse dai recenti studi che dipingono un Mezzogiorno, soprattutto nel comparto manifatturiero, che più di tutte le altre parti ha sofferto della crisi, con lo spettro inoltre dell’annosa vicenda della “Terra dei Fuochi” e che sembra essere accoppiato invariabilmente con idee quali “desertificazione industriale”, “debacle” e “catastrofe”: idee che si propone a un tempo di ridimensionare e a un altro di fronteggiare, attraverso uno “sforzo corale delle istituzioni politiche ed economiche e la capacità di riportare l’impresa produttiva al centro del nuovo ciclo di programmazione”.

Ad apertura dei lavori, il saluto introduttivo del Sindaco di Napoli Luigi de Magistris – di fretta in quanto in concomitanza con un consiglio comunale su Bagnoli e Città della Scienza – ha voluto principalmente smentire quell’immagine di Napoli e la Campania come zavorre nel sistema Italia, accentuata ancora di più con la vicenda della terra dei fuochi, per sostenere invece l’idea di un Sud capace di auto-emanciparsi. Primariamente attraverso la diminuzione della burocrazia e dei vincoli opposti ai Comuni dal Patto di Stabilità interno, con la conseguenza dell’assenza di liquidità per far fronte ai bisogni dei cittadini, principalmente soddisfatti sul piano comunale. In secondo luogo, attraverso una proficua collaborazione, soprattutto con il ministero della Cultura – lanciando uno spunto al ministro Bray – affinché venga tutelato nel migliore dei modi l’immenso patrimonio culturale regionale.

Paolo Graziano, presidente dell’Unione Industriali di Napoli

Paolo Graziano, presidente dell’Unione Industriali di Napoli

La successiva relazione presentata da Paolo Graziano, presidente dell’Unione Industriali di Napoli, di ampio respiro, ha toccato tutti i temi che sarebbero poi stati affrontati dagli ospiti, a partire dalla situazione particolare della regione e del Sud, per toccare il quadro nazionale per poi arrivare a quello europeo. E’ dipinta quindi, attraverso una serie di dati e di numeri, una desolante panoramica della situazione attuale del mezzogiorno, caratterizzato da alti tassi di emigrazione delle menti più capaci, del conseguente invecchiamento progressivo della popolazione, di disoccupazione – dato peggiorato dall’endemica inoccupazione femminile: “Una base demografia ipertrofica e uno scheletro imprenditoriale rachitico”. Uno scheletro più fragile in regioni come Sicilia, Campania e Calabria, ma più vitale in Puglia e in Basilicata, grazie a una gestione più oculata dei fondi europei e investimenti maggiori sull’innovazione, che in un modo o nell’altro, in maniera episodica e a macchia di leopardo, possono far aumentare le esitazioni a parlare di “desertificazione” senza speranza e senza appello. Il valore aggiunto manifatturiero del Mezzogiorno, infatti, con i suoi quasi 30 miliardi di euro supera quello di  di numerose nazioni europee, come Finlandia, Danimarca e Romania: vi è la necessità, secondo Graziano, di dare un “nuovo slancio alla politica industriale”.
Attraverso l’innalzamento diffuso del livello di innovazione; miglioramento delle condizioni di accesso al credito e promozione di strumenti finanziari alternativi a quelli bancari; diminuire l’incidenza delle pubbliche amministrazioni, con l’istituzione di una vera fiscalità di vantaggio, rafforzamento della presenza delle imprese meridionali sui mercati internazionali, soprattutto quelli dei paesi emergenti e del bacino del mediterraneo; diminuzione del tasso di dipendenza energetica, attraverso lo sviluppo della cosiddetta Green Economy; opere estensive di rigenerazione urbana e riqualificazione ambientale, principalmente su Bagnoli, Napoli Est (un’area uguale a quella di Firenze) e Pompei, che pur avendo un potenziale altissimo non riesce a intercettare e a ospitare i suoi visitatori, costretti a un “mordi e fuggi”. Ma soprattutto con l’occasione della nuova programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali, e l’invocazione di una adeguata deroga al Patto di Stabilità interno che permetta gli adeguati investimenti richiesti dal contesto economico.
E un appello: “Fate presto, Napoli non può più aspettare”.

Tutti i successivi interventi sono stati moderati da Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera.
Il primo a prender la parola è stato Antonio Tajani, vice presidente della Commissione Europea e responsabile della politica industriale, del turismo e dello spazio. Sollecitato dalle domande di Polito, egli ha espresso il suo disaccordo con la rotta finora intrapresa dall’Unione, caratterizzata da un’attenzione maggiore verso lo sviluppo dei mercati finanziari rivelatasi un fallimento, propendendo per un ritorno della centralità del manifatturiero – non nel senso ottocentesco delle ciminiere, quanto focalizzato verso l’alta tecnologia e la ricerca orientata in questo senso. Accompagnata da un’applicazione del Patto di Stabilità secondo criteri politici e non burocratici – come il pagamento dei debiti pregressi delle P.A verso le imprese che non sfora il patto; facilitando l’accesso al credito per le imprese, disponendo che i prestiti fino a 1,5 milioni di euro non siano sottoposti ai vincoli di Basilea 3; trasformare la BCE in una banca centrale sul modello della Federal Reserve; svalutare l’euro per incentivare l’esportazione. Senza far piovere soldi sulle teste degli amministratori, come fatto i passato, ma con strategie di sviluppo.

Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria

Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria

A seguire l’intervento di Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia, che si è soffermato in primo luogo sul ruolo che può assumere il settore manifatturiero per la ripresa. Pur contando la stragrande maggioranza della cosiddetta economia “reale”, essa ha un peso relativo nelle statistiche, maggiormente attente a parametri finanziari: eppure non si può più parlare della distinzione classica primario/secondario/terziario, essendo necessario tener conto delle commistioni e integrazioni tra i diversi livelli produttivi. In secondo luogo, sul problema del Sud: insufficientemente industrializzato, pur potendo contare in una serie di oasi caratterizzate da alta qualità e livello tecnologico; investito a più riprese da una serie di interventi “straordinari” per rivitalizzarlo, a partire dalla primissima legge in questo senso nel 1904, per proseguire nella stagione della Cassa del Mezzogiorno, per arrivare alla “Nuova Politica Regionale” degli anni recenti.  Una situazione di crisi in cui, tuttavia, “il peggio è stato superato”.
Il presidente della giunta regionale campana Stefano Caldoro si è concentrato sulla direzione che il suo governo sta prendendo per affrontare la crisi, parlando di un “esperimento” campano, nel campo delle biotecnologie, innovazione e turismo, con investimenti nella ricerca al secondo posto in Italia dopo la Lombardia, ma ben dietro al livello-obiettivo fissato da Lisbona; un’integrazione tra pubblico e privato, senza timori se si tratta del metodo migliore per allocare i servizi alla cittadinanza. Riguardo alla vicenda degli sversamenti dei rifiuti tossici, egli ha parlato di una terra “stuprata” dalla connivenza tra imprenditoria del territorio-politica-camorra.
A seguire si sono avvicendati due componenti del governo Letta: il ministro della cultura Massimo Bray e dell’ambiente Andrea Orlando. Il primo, rispondendo a uno spunto lanciato all’inizio da De Magistris, ha parlato riguardo la scelta dei responsabili dell’Unità del Grande Progetto Pompei tra i Carabinieri (Giovanni Nistri e il vicario Fabrizio Magani), per la precedente appartenenza a un’unità afferente al ministero preposta alla tutela dei beni culturali. Sull’importanza di una politica di sviluppo a 360° gradi, in un contesto in cui ormai è terminato il ciclo del capitalismo finanziario e se ne è aperto un nuovo, radicalmente nuovo. Su come si debba imporre l’attenzione su come coniugare turismo e cultura per attirare visitatori e di conseguenza investimenti, cosa riuscita in Puglia con il Salento, ma ancora assai deficitaria in Sicilia (comparata alle Baleari, riesce, a parità di coste, a attirare un numero molto inferiore di turisti, non dotata di know-how, né collegata al resto d’Europa in maniera soddisfacente) e a Pompei, memore dell’esperienza on la Circumvesuviana. Ha concluso rispondendo a De Magistris riguardo il dissesto delle fondazioni liriche, in particolare del San Carlo.
Il ministro dell’ambiente è intervenuto soprattutto riguardo alla situazione della Terra dei Fuochi, di cui ha fatto notare il dato in cui le dichiarazioni dei pentiti sono servite di più rispetto a quelle delle istituzioni nel mettere la vicenda sotto la lente d’ingrandimento dell’opinione pubblica, sintomo di una sfiducia persistente, e i provvedimenti adottati o da adottare per affrontare la questione: blocco dei rifiuti industriali verso la regione, un maggiore impianto repressivo; una migliore comunicazione tra i Pubblici Ministeri e le Amministrazioni; le modalità di sblocco dei fondi strutturali; la raccolta forzosa dei dati raccolti che diano risposte certe che possano stemperare l’allarmismo e fugare le ombre ingiuste sulla sanità dei prodotti campani. Sui temi ambientali in generale, egli ha ricordato la direttiva 20/20/20 sulle emissioni e la vicenda innovativa scaturita dal commissariamento dell’Ilva sulla produzione dell’acciaio, suscettibile di esportazione in europa.

I rilievi conclusivi di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, hanno ricapitolato in un certo senso quanto espresso nel convegno – tempi della burocrazia almeno confrontabili con la media UE; una ripresa possibile solo a partire dal manifatturiero; stabilità politica necessaria; propulsione del progetto attraverso una vera banca centrale europea e l’uniformazione delle politiche fiscali; il rischio concreto di catastrofe economica per il paese in caso di uscita dall’euro, e la necessità di una crescita minima almeno del 2%: obiettivo realizzabile solo mettendo il Mezzogiorno al centro della politica economica, di breve e lungo termine.