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NTFI 2013: “Circo Equestre Sgueglia”, l’argentino Arias rilegge Raffaele Viviani

Il regista Alfredo Arias

Il regista Alfredo Arias

di Stefano Santos

Motivo comune, nelle interviste rilasciate dal regista franco-argentino Alfredo Arias nel suo soggiorno napoletano, è la rievocazione di episodi biografici legati alla sua infanzia nella periferia di Buenos Aires e alla tradizione del Circo Criollo, iniziata a partire dal diciannovesimo secolo nella regione del Rio de la Plata e sviluppata attraverso l’attività dei fratelli Podesta, figli di immigrati italiani, in cui vi era continua commistione tra le arti circensi e quelle sceniche. Il futuro regista, avendo il padre operaio in un industria tessile che realizzava le espadrillas dei gauchos e i tendoni dei circhi, aveva spesso occasione di entrare in contatto con queste realtà.
Questa componente biografica si rivela utile nel comprendere l’approccio del regista a Circo Equestre Sgueglia, opera di Raffaele Viviani, portato in scena al Teatro San Ferdinando e co-produzione  Teatro Stabile di Napoli, Teatro di Roma e Fondazione Campania dei Festival.

L’azione si svolge in una Piazza Mercato, a cavallo tra Ottocento e Novecento, non ancora inghiottita  da Palazzo Ottieri e la speculazione edilizia: nella riproduzione pittorica che campeggia sul pannello che separa il pubblico e il palcoscenico, infatti, si riesce ancora a scorgere la basilica del Carmine. La vastità dalla piazza ospita il tendone e le roulotte del Circo Equestre, gestito dalla famiglia Sgueglia. Nel vagoncino di sinistra ha posto la famiglia omonima, composta dal capofamiglia Don Ciccio (Marco Palumbo), la moglie Marietta (Autilia Ranieri) e la giovane figlia Nicolina (Lorena Cacciatore), nel  vagoncino di destra invece abitano il fantino Roberto (Francesco di Leva) e suo moglie, Zenobia (Monica Nappo); al centro invece trova posto l’arena del circo.
Non vediamo dove abitano, tuttavia nel circo vi sono altre figure, centrali nella rappresentazione: il clown Samuele (Massimiliano Gallo) e la moglie Giannina (Giovanna Giuliani); il clown Bagonghi (Tonino Tauti) e sua moglie, dalla lingua lunga e biforcuta, Bettina (Gennaro Di Biase); il toscano Giannetto (Carmine Borrino). Completamente slegato dal sistema dei personaggi, una figura in cilindro e in frac, che narra la vicenda inserito tra i personaggi, a far da raccordo tra le sequenze narrative, interpretato da Mauro Gioia. La rappresentazione è stata musicata dal vivo, da Giuseppe Burgarella, Gianni Minale, Claudio Romano, Flavio Tanzi.
Protagoniste sono le relazioni amorose: i rapporti maritali tra Zenobia-Roberto e Samuele-Giannina, e i paralleli rapporti clandestini tra Roberto-Nicolina e Giannina-Giannetto. I traditi vivono in opposte contraddizioni: Zenobia non sbaglia mai la cottura della pasta, è devota al marito, eppure è maltratta e trascurata, e non pare rendersi conto della reale situazione; Samuele invece, immerso nella passione per il circo, si aspetterebbe che la moglie gli facesse la pasta e il bucato – il fazzoletto ormai è vecchio di mesi – tuttavia ella è troppo presa dal Toscano per curarsi di lui.
Seminatrice di discordia è Bettina, la cui lingua lunga non riesce a trattenersi dal rivelare tutti gli ‘inciuci’ del circo ai diretti interessati, ostacolata e supportata allo stesso tempo dal compagno Bagonghi.

In superficie si coglie un’irresistibile verve comica e farsesca che tende a strappare sorrisi – se non anche risate – che tuttavia non adombra del tutto il dramma dei due protagonisti, Samuele e Zenobia, e la lacerazione emotiva ed amorosa che essi si trovano a subire – Samuele che si ripete ossessivamente che la cosa non gli tocca – e a posteriori, anche di chi ha cagionato quel senso di alienazione. Una doppia dimensione, il buffo, il grottesco, il picaresco che è il circo; la contraddizione, l’ambiguità, il cinismo che è la vita, nel cogliere la povertà che affligge questi individui, in continua fibrillazione per cercare di mettere del pane sotto i denti. Un motivo comune nella Napoli che si è cercato di rappresentare, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.
La prestazione attoriale del cast è stata nel complesso molto buona, con quella di Massimiliano Gallo-Samuele a spiccare su tutti, capace di spaziare dal comico al tragico, con un carisma che è riuscito a catturare il pubblico che infatti gli ha riservato un particolare apprezzamento.