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Le lacrime del Presidente: il reincarico di Napolitano tra sconfitta e speranza del rinnovamento

Quirinale, il giuramento di Giorgio Napolitano

Quirinale, il giuramento di Giorgio Napolitano

di Mattia Papa

Si potrebbero chiamare “le lacrime del Presidente” quei diversi momenti di commozione durante il discorso di giuramento alla Costituzione del rinnovato Capo dello Stato. Esse sono il chiaro simbolo del terribile momento storico e politico che l’Italia sta attraversando. Ma non solo. Chi ha creduto che fossero lacrime di felicitazione e di un profondo senso di lusinga non potrebbe essere che nel peggiore degli errori. Non è difatti un novizio della politica Giorgio Napolitano, entrato in parlamento per la prima volta a 28 anni (il 29 giugno ne compirà 88) come ricordava mentre conferiva dinanzi alle due Camere e ai rappresentanti delle Regioni. È infatti pienamente consapevole di essere la via di fuga da un incubo quale è l’ingorgo istituzionale creatosi nel nostro Paese. Erano più probabilmente lacrime di disperazione, di sconfitta e di reale paura per i giovani, per le donne e per tutti i disoccupati che lui, primo tra gli italiani, rappresenta. Lo sente pesante, il Capo dello Stato, il peso del passato che non ha saputo arginare la corruzione e il disfacimento della politica, non comprendendo il carico distruttivo che certe forze politiche e gli uomini che le rappresentavano (e che ancora oggi non demordono) portavano in grembo. La sua commozione sarà stata più che altro una commistione di senso di colpa e assenza di forze per rinnovare. Ma non ha perso la speranza. Non ancora. Con le ultime esalazioni di una vita dedita alla politica, si gioca il tutto per tutto, probabilmente anche per dimostrare che i padri (e per chi scrive, i nonni) hanno ancora qualcosa da insegnare ai loro figli: con un’ammissione di colpa quale quella che ogni genitore arriva a compiere nella sua vita per gli errori commessi con i propri figli, Napolitano regala l’ultima “ramanzina” ai successori che devono imparare ormai ad assumersi le loro responsabilità. È forse un’esigenza di redenzione? In qualunque caso, a farlo prima, avremmo evitato il baratro democratico degli ultimi vent’anni. Quindi si rimbocca le maniche il Presidente, e si impegna a consegnare al Paese un governo il prima possibile: “Non il più giusto, ma quello che l’Italia merita”, volendo citare il Nolan della sceneggiatura de “Il cavaliere oscuro”. Perché, infatti, la più sconfitta non sta solo nella fallita classe politica che ha frainteso la democrazia con il qualunquismo, la cosa pubblica con la cosa privata, i partiti con cameratismi di bassa lega: il vero fallimento sta nel non aver saputo dare una pregnante consapevolezza e un temerario coraggio al popolo italiano, che dopo tanti anni ancora non distingue le promesse attuabili dalle prese in giro elettorali. È infatti il “popolo sovrano” ad aver portato una situazione simile nelle Camere, avendo votato in quasi egual parte il centrodestra e il centrosinistra. Tutti gli altri voti sono giustificabili, anche quello ai Cinque Stelle, poiché vero elemento di rottura. Lo stesso voto per la Scelta Civica di Mario Monti ritrova le sue ragioni in una fiducia per il lieve risanamento dei conti del Paese salvandolo dal crollo economico. Ciò che rende stupefatti è il ritorno di una forza quale quella del PdL che – grazie all’incompetenza, l’incapacità di rinnovamento e il solito complottismo del centrosinistra – è il vero vincitore sia delle elezioni politiche che quelle del Presidente della Repubblica. Ora che sia per creare il blocco istituzionale, che sia per una qualche forma di ricatto o per un disegno politico (che ha sempre coinciso con piani anche e soprattutto privati) poco importa.
Attribuire tutta la colpa ai vecchi capi di partito (oltretutto svaniti come la forza delle idee che li guidavano) forse è un errore. Ma la storia non si delinea senza i fatti; e i fatti furon fatti (si perdoni il gioco di parole) da chi allora reggeva il nostro Paese. Nessuno escluso quindi, neanche lo stesso Napolitano. Dopodiché, si può aprire un lungo elenco di errori compiuti – in primis dal Pd – e di speculazioni sul contesto storico-politico sia italiano che non. Ma davvero importa in una situazione simile? Così come non importa rimpiangere o rinnegare il passato. Ora si deve dare all’Italia un governo che permetta anche, nel frattempo, il superamento delle idiosincrasie nei partiti, di creare risoluzioni verso un dinamismo che deve sboccare in nuove proposte politiche e formare delle forze di dichiarata tendenza ideologica: non necessariamente un bipolarismo all’italiana (poiché ormai la società civile è composta da diverse altre classi sociali rispetto all’antica classe operaia e borghese), ma un assetto che sia di esempio anche per un’organizzazione sociale. Napolitano, d’altronde, si spera possa trovare conforto nelle parole che furono di Oscar Wilde e che, citando, dicono: “I figli iniziano amando i loro genitori, in seguito li giudicano. Qualche volta li perdonano”. E per concludere come ha concluso il “nuovo” Presidente: “Viva il parlamento! Viva la Repubblica! Viva l’Italia!”