Home » News, Rubriche, Un Giorno, il Poeta » Izet Sarajlic, l’arma della poesia

Izet Sarajlic, l’arma della poesia

Izet Sarajlic (1930-2002)

Izet Sarajlic (1930-2002)

di Lisa Davide

Izet Sarajlic nasce a Doboj, nella Bosnia ed Erzegovina, il 16 marzo 1930. Kiko, così come verrà soprannominato, è il più grande poeta bosniaco dei nostri tempi. Nel 1945 Sarajlic si trasferisce a Sarajevo, dove successivamente si laurea in Lettere. Il suo amore per il carattere multietnico di Sarajevo lo indusse a non abbandonare mai questa città, anche durante il suo assedio avvenuto nella guerra di Bosnia del 1992. Nel 1954 Kiko fonda il “Gruppo 54”, movimento d’innovazione poetica, punto di riferimento di moltissimi scrittori provenienti dai paesi travolti dai radicali cambiamenti politici del Patto di Varsavia. Durante la guerra civile, il poeta perse le sue due sorelle, Nina e Raza Sarajlic, alle quali il Sarajlic dedicherà numerose poesie. Subito dopo questo lutto, anche la moglie morirà. Alla fine degli anni Novanta, Kiko arriverà in Italia tramite l’amico e poeta Alfonso Gatto. Iniziò una collaborazione con la Casa della Poesia di Baronissi, in provincia di Salerno. Riceverà in Italia nel 2001 il premio Moravia per la raccolta “Qualcuno ha suonato”: questo sarà il suo ultimo premio prima della morte, avvenuta il 2 maggio del 2002 a Sarajevo nella propria abitazione.
Del grande poeta restano oltre venti raccolte di poesia; in Italia ne è conosciuta e tradotta principalmente una: “Chi ha fatto il turno di notte”. Un’opera molto importante per la conoscenza della biografia dell’autore. In essa, infatti, sono narrati il rifiuto dell’esilio da parte di Kiko, la morte delle sorelle e le disdicevoli condizioni di Sarajevo a seguito del conflitto della Bosnia-Erzegovina.
Sarajlic predilige una metrica semplice e contemporanea, attraverso la quale i pensieri dell’autore appaiono chiaramente. Non si tratta di una poesia ampollosa, ma di versi in cui vengono usate quasi sempre parole molto comuni che si ripetono spesso come nella splendida poesia “La linea Maginot”. Il suo intento è far arrivare la poesia anche agli strati più poveri della popolazione bosniaca. In questo senso, continuamente ricorre il tema dell’uomo diviso tra guerra e speranza, tra guerra e poesia. Egli si sente vicino a coloro che sono stati allontanati dal proprio paese durante la guerra civile e ci fa comprendere di quanto la poesia, la filosofia, siano dei punti di riferimento fondamentali specialmente in un paese politicamente distrutto.
Sarajlic attraverso la sua poesia ha spesso ricordato come un poeta non può non essere un uomo che vive appieno il proprio momento storico. Egli fa della poesia uno strumento di lotta e denuncia politica e sociale, da riconoscere e condividere.

“Sarajevo”

E adesso dormano pure tutti i nostri cari e immortali.
Sotto il ponte presso il II liceo femminile gonfia la Miljacka scorre.
Domani è domenica. Prendete il primo tramway per Ilidža.
Naturalmente nell’ipotesi che non cada la pioggia.
La noiosa lunga pioggia di Sarajevo.
Chissà se ne sentiva la mancanza Čabrinović in prigione!
Noi la malediciamo, la insultiamo, e tuttavia mentre cade
fissiamo i nostri appuntamenti d’amore come fossimo in pieno maggio.
Noi la malediciamo, la insultiamo, coscienti che
pur ingrossata dall’acqua
la Miljacka non diventerà mai né il Guadalquivir né la Senna.
E allora! Forse per questo ti amerò di meno
e ti tormenterò meno nelle sventure?
Per questo sarà forse minore la mia fame
di te o minore il mio amaro diritto
di non dormire quando incombono sul mondo la peste o la guerra
e quando le uniche parole diventano « non dimenticare » e « addio »?

Del resto forse questa non è neppure la città dove morirò,
ma in ogni caso essa mi ha meritato
incomparabilmente più sereno,
questa città dove forse non sono neppure stato troppo felice
ma dove ogni cosa è mia e dove posso sempre
trovare almeno qualcuno di voi che amo
e dirvi che mi sento solo fino all’angoscia.

Potrei farlo anche a Mosca, ma Esenin è morto
e Evtušenko si trova certamente in qualche posto della Georgia.
A Parigi come potrei chiamare il pronto soccorso
se non ha risposto neppure agli appelli di Villon?
Qui, se chiamo persino i pioppi, miei concittadini,
anch’essi sapranno ciò che mi fa soffrire.
Perché questa è la città dove forse non sono stato troppo felice,
ma dove anche la pioggia quando cade non è solo pioggia.
(1961)