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“Tregue nell’ambra”, il nuovo libro della giovane Goffredo in regalo in formato e-book.

Copertina TREGUA NELL'AMBRAdi Mattia Papa

Ilaria Goffredo è una scrittrice pugliese classe 1987. Ha pubblicato cinque libri finora. Ed è stata finalista al concorso letterario “ilmioesordio” (ed. 2012) con il suo nuovo libro “Tregue nell’ambra”, dal 1 marzo in regalo in tre diversi formati e-book sul sito http://treguanellambra.blogspot.it/. Un bello schiaffo morale per chi non crede nei giovani, nella letteratura e nel futuro della cultura, nonché delle discipline umanistiche. È ormai senso comune credere che per riuscire ad avere un briciolo di soddisfazione nella propria vita, bisogna davvero essere fortunati o “fortuitamente” baciati dal Fato. Bisogna essere, quindi, o un Gastone o un abile e machiavellico giocatore al tavolo della vita costruendosi quella fortuna con ogni mezzo. Questo è quanto. Ovviamente il discorso è valido solo se le proprie attitudini non combaciano con gli studi di fisica nucleare (e anche in questo caso, ad oggi, nulla assicura un futuro lavorativo nel nostro paese). C’è chi pensa, poi, che la letteratura in Italia sia morta, che di giovani talenti non ne nascano più e che tutto inizia e finisce entro le camere di una vita “normale”. C’è chi crede al senso comune quando lo sente parlare, e sbuffa continuamente alla vita. E c’è chi, però, facendosi spazio a furia di strattoni, si rimbocca le maniche e guadagna ogni piccolo centimetro nella scalata per un posto tra i grandi nomi di ogni tempo. La giovane Goffredo scrive per passione e la sua vita l’ha dedicata al prossimo: prima è stata animatrice in diversi villaggi turistici, poi è stata volontaria in una scuola professionale di Malindi, in Kenya. Il suo amore per quell’esperienza le ha fatto scrivere pagine di una limpidezza e di una scorrevolezza data a pochi, poiché – d’altronde – pochi oggi hanno da raccontare qualcosa che valga la pena d’esser letto o ascoltato. Libri in cui l’amore e il realismo sociale, il disagio culturale, la disperazione della guerra, si intrecciano in trame avvincenti e profonde: ecco cosa scrive Ilaria Goffredo, senza risparmiarsi, senza tentennare nel denunciare e ricordare momenti terribili pur di trasmettere la propria esperienza. Uno di quei casi in cui si può davvero esser fieri di essere italiani. Il suo 2013 inizia con l’esordio del suo nuovo libro, un romanzo storico ambientato ai tempi degli ultimi anni del secondo conflitto mondiale: attraverso una serrata analisi del fascismo e di quanto sia terribile “la pioggia d’argento” dei bombardamenti per chi vorrebbe soltanto vivere serenamente senza doversi preoccupare di poter rimanere ucciso da un proiettile o da una bomba, la Goffredo riesce a meravigliarci di passo in passo andando avanti nel libro, attraverso un soffio che toglie la polvere – come ha detto lo scrittore Ezio D’Andrea in merito al libro – “da una serie di fotografie in bianco e nero. Il ricordo che campa nell’aria rarefatta di un’Italia persa e ancora incredula su quanto le sta capitando”. Un libro degno “del realismo degli anni ’50 che sta assai bene insieme ai testi di Primo Levi, di Pavese” secondo la docente e scrittrice Giovanna Albi. Ilaria Goffredo spiega oltretutto i motivi di questa particolare – e sicuramente coraggiosa – mossa editoriale: “È la mia piccola protesta contro una realtà editoriale sbagliata; un modo per far conoscere i miei personaggi e ciò che hanno da dire; un modo per attirare l’attenzione sul mondo degli scrittori ignoti al grande pubblico”. E poi c’è chi pensa che la letteratura di denuncia – e soprattutto quella italiana – sia morta o di quei pochi scrittori rimanenti e considerati (forse) degni di nota per chissà quali strani fortuiti concatenamenti casuali. Bisogna smentire chi crede che gli autori minori o sconosciuti siano solo goffe imitazioni del patetismo e della banalità degli ultimi degradanti vent’anni. Non c’è da fidarsi del senso comune, padre di futili e scontati preconcetti facilmente sgretolabili tra le pagine di libri di valore scritte da persone, da giovani e non da “bambocci”, come a volte si è stati definiti.