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“Vita di Pi”, la resistenza di un ragazzo e una tigre per il grande spettacolo cinematografico di Ang Lee

LOP_100x140_cartonati-bannerdi Marco Chiappetta

TRAMA: L’indiano Piscine Molitor Patel (Irrfan Khan), detto Pi, racconta a uno scrittore canadese (Rafe Spall) l’incredibile avventura che ha vissuto quand’era ragazzo (Suraj Sharma). Cresciuto a Pondicherry, nell’India francese, e innamorato di spiritualismo e religione, sopravvisse al naufragio della nave che avrebbe dovuto portare lui, la sua famiglia e tutti gli animali del loro zoo in Canada, vivendo 227 giorni in mezzo all’oceano, su una scialuppa in compagnia della feroce tigre chiamata Richard Parker: giorni e notti di veglie, sacrifici, paure, speranze, lotta per la sopravvivenza e, a poco alla volta, complicità reciproca nella disgrazia con il felino.
GIUDIZIO: Tratto dal romanzo di Yann Martel, bestseller internazionale, “Vita di Pi” è un film di grande originalità e straordinaria bellezza visiva, un’esperienza per gli occhi ancora più che per il cuore, in cui la regia dell’eclettico Ang Lee, all’ennesimo film diverso, si fa puro virtuosismo, pura magia, per raccontare una storia inusuale e fantastica, di coraggio e speranza, rispetto e umanità, tutta confinata su una scialuppa, due personaggi, e l’infinito attorno: una sorta di “Robinson Crusoe” con l’oceano come claustrofobica isola e una tigre come Venerdì, unico compagno disgraziato. Una lotta per la sopravvivenza al massimo: il terrore dell’oceano e dei suoi squali, le tempeste, la solitudine, la fame, la sete, la stanchezza, e soprattutto un feroce nemico-complice, con cui – magia delle magie – a poco alla volta nasce un’amicizia, fatta di rispetto e persino collaborazione. Un’opera eccezionale, intelligente, anche furbetta certo, che fonde romanzo di formazione (la prima parte, esotica e kiplinghiana, dell’infanzia di Pi, e la seconda, avventurosa, con la coscienza della maturità) e grande spettacolo, in cui la tecnologia non è più solo il pretesto di prestidigitazione ma è un mezzo per raccontare una storia altrimenti impossibile: Ang Lee ci è riuscito, grazie soprattutto a effetti speciali digitali all’avanguardia (tigre più vera del vero, oceano ricostruito in una vasca di Taiwan, motion capture al meglio storico) restituendo alla natura tutta la sua suggestiva bellezza e amplificando, sul grande schermo, le emozioni del suo protagonista, l’ottimo esordiente Suraj Sharma. Immagini memorabili come quella del naufragio della nave, l’attacco dei pesci volanti, lo specchio fosforescente dell’oceano notturno e l’approdo dei due compagni nell’isola dei suricati s’imprimono nella mente e nella retina; è il trionfo del cinema. Peccato per le impennate religiose spiritualistiche un po’ forzate nella storia e nel personaggio di Pi, e per le ambiguità ricercate del finale. Ma per il resto è un film perfetto.
VOTO: 3,5/5