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“Argo”: altro colpo a segno per Ben Affleck regista

di Marco Chiappetta

TRAMA: Novembre 1979 – Durante i giorni tumultuosi della rivolta iraniana contro gli Stati Uniti, rei secondo loro di aver dato asilo all’esiliato e criminoso scià Reza Pahlavi, sei dei cinquantadue ostaggi presi all’ambasciata americana riescono a fuggire e a trovare asilo, segretissimo, nell’ambasciata canadese. Per recuperarli, l’agente CIA Tony Mendez (Ben Affleck) organizza, nello scetticismo generale dei suoi superiori e in tutta fretta, un piano folle: con l’aiuto del truccatore premio Oscar John Chambers (John Goodman) e del produttore Lester Siegel (Alan Arkin), e con tanto di propaganda pubblicitaria, imbastisce una farsa mediatica più vera del vero, cioè la produzione di un (finto) film di fantascienza, intitolato “Argo”, proprio in Iran; con la scusa di essere lì autorizzato per esaminare le location, Mendez piuttosto istruisce i sei ostaggi sui ruoli da recitare a memoria in questa clamorosa messinscena, per eludere al meglio i sospetti della ferrea sicurezza della burocrazia locale e farli tornare sani e salvi a casa.
GIUDIZIO: Terzo film da regista di Ben Affleck e la sua definitiva conferma come autore: sempre migliore, sempre più intelligente e sofisticato, il suo cinema è cinefilo, spettacolare e americano nel suo miglior senso. Basato su un’incredibile storia vera, declassificata dalla CIA solo nel ’97,  e diretto con un’estetica visiva identica, senza essere manierista, a quella dei film degli anni ’70 con un’attenzione al dettaglio storico eccellente (volti, costumi, scenografie, colori e musica rock in perfetta sintonia), è un thriller brillante, sorprendente e divertentissimo, che coniuga, come davvero ormai pochi film sanno fare, impegno civile e intrattenimento, riflessione storico-politica e commedia (per non dire farsa), riuscendo a essere un perfetto film di genere ma a suo modo completamente fuori dagli schemi. Ritmo implacabile, attori in parte (persino Affleck, che da solo sa dirigersi), montaggio grandioso e un efficace uso degli spazi, dei tempi, della tensione, dei dialoghi e degli stereotipi del genere, che ne fanno un gioiellino di puro cinema, capace di tenere col fiato sospeso dall’inizio alla fine, straordinaria. Certo, alla fine il succo è che gli iraniani fessi si fanno fregare e gli americani vincono sempre: ma questa è pur romanzata una storia vera, e basta vedere il documentaristico prologo per capire ancora che l’America, quella più vera, è proprio quell’America opportunista megalomane spietata che l’altro mondo a ragione odia, e che a sorpresa di quest’America l’aspetto migliore è proprio Hollywood: dove la finzione, morale o artistica, paga sempre. È anche a suo modo un meta-film e una lezione di cinema: cos’è, come farlo, come raccontare la verità attraverso la bugia. Un titolo importante, secondo qualcuno una certezza, per gli Oscar di quest’anno.
VOTO: 3,5/5