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“La comunista”, Ermanno Rea torna a raccontare Napoli e l’utopia necessaria a sopravvivere

di Ilaria Giugni

“Bisogna saper credere nei sogni, nei nostri cuori bisogna che alberghi l’utopia, se vogliamo sopravvivere. Soltanto l’utopia, la capacità di pensare l’impossibile, può dare un senso alla nostra vita miserabile”.
Poche battute, a volte, possono valere la pena di leggere un libro. Quello in questione è “La comunista” di Ermanno Rea, edito da Giunti solo qualche mese fa.
Lo scrittore ritorna nella sua città natale, segno di un attaccamento viscerale che è insieme un dono ed un’ossessione. D’altronde, Napoli è “una città senza storia che uccide il tempo ma uccide anche se stessa”, con cui è difficile recidere il proprio cordone ombelicale, il suo fascino sta nella sua condanna: una città sempre di corsa eppure ferma al suo stesso punto di partenza, costretta com’è ad una staticità perpetua.
Altrettanto difficile, a volte, può rivelarsi il distacco dai propri personaggi: ne “La comunista”, l’autore Rea rincontra Francesca, protagonista di “Mistero Napoletano” (Einaudi, 1995), pasionaria giornalista de “l’Unità”, morta suicida nel secondo dopoguerra.
Un fantasma che ritorna per completare il suo messaggio o, forse, solo per rincuorare il suo caro amico ed insieme tutti coloro che hanno ancora voglia di combattere: “l’entusiasmo dell’impossibile” sussurra Francesca e il suo monito riecheggia per l’intero racconto, scuotendo il lettore dal torpore e spingendo a credere in una nuova resurrezione.
“La comunista” contiene anche un secondo racconto “L’occhio del Vesuvio (le avventure di un povero polacco di talento)”, descrizione pacata dell’amicizia fra un professore di lettere di Torre del Greco e Tadeusz, giovane dell’est arrivato in Italia per sostenere la sua famiglia.
La nascita del legame è raccontata sin dagli albori: dal passo tutt’altro che semplice di superare barriere culturali e asperità caratteriali alla realizzazione delle aspirazioni dell’uno tramite le capacità ed il lavoro dell’altro.
Ermanno Rea racconta quest’amicizia con grandissima premura, quasi come se egli stesso fosse spaventato di avvizzire questo piccolo miracolo, conscio probabilmente della rarità di certi incontri in una società che troppo spesso vede nella diversità una buona ragione per costruire muri.
Con i due racconti contenuti ne “La comunista” Ermanno Rea costruisce amorevolmente un cantuccio per il lettore, dove non solo è ancora possibile credere nell’utopia e nei rapporti umani, ma è addirittura necessario per sopravvivere.