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“Padania”: gli Afterhours cantano la terra che non c’è

di Giacomo Palombino

Volendo comporre un’enciclopedia di musica rock tutta all’italiana, al primo posto, non solo per merito ma anche per motivi “anagrafici”, dovremmo inserire il nome degli Afterhours.
Fa un certo effetto pensare che la band si trascina alle spalle una carriera di quasi trent’anni, con ben dieci album registrati in studio. Un’esperienza degna di lode, segnata da lavori più entusiasmanti di altri, ma che nel complesso dimostrano una grande maturazione dal primo lavoro del 1988 ad oggi. Già solo la prima inversione di marcia dopo il terzo album “Pop kills your soul” denota un importante passo in avanti: il quarto progetto “Germi”, infatti, è il primo cantato in italiano, scelta importante, perché altrimenti in questo momento staremmo a parlare di qualcosa di molto diverso. Quella della composizione in lingua inglese è una strada comoda intrapresa da molte band europee (e non solo) che gli Afterhours hanno preferito abbandonare.
Ascoltando l’ultimo album, si percepisce in maniera ancora più forte la maturazione di cui Manuel Agnelli e compagni sono stati protagonisti: non siamo più di fronte alla band a tratti “politicamente scorretta” che un tempo minacciava gli ascoltatori dicendo “sui giovani d’oggi ci scatarro su”. “Padania” è un album che porta con sé la sperimentazione di anni tradotta in quindici brani uno diverso dall’altro: vi sono strutture musicali eterogenee, dalle classiche schitarrate come in “La tempesta è in arrivo” all’iniziale accompagnamento di archi di “Metamorfosi”; e si avverte grande maturità nella voce di Manuel, che si cimenta spesso in quei vocalizzi propri del suo repertorio, studiati questa volta in maniera più melodica rispetto al passato.
Si passa dalla ballata, al punk, al sound psichedelico: è un album che a tratti, se non vi fosse l’inconfondibile voce di Manuel a fare da filo conduttore, potrebbe sembrare essere scritto da tanti artisti diversi. Suscita in più l’interesse dei fan il ritorno a registrare con la band di Xabier Iriondo, storico chitarrista riconciliatosi con i compagni in occasione del tour tenutosi nel 2010.
Bisogna brevemente soffermarsi sul titolo scelto. Appena le riviste e i siti internet hanno comunicato che il nuovo progetto avrebbe avuto il nome di “Padania”, sono state scatenate fra il pubblico le reazioni più varie: molti hanno creduto in una dedica di stampo ideologico, insomma hanno inteso uno sfondo politico dell’intero lavoro. Non si potevano fare considerazioni più superficiali. Risuona evidente la provocazione di Manuel e dei suoi compagni: è sicuramente una pensata finalizzata ad attirare l’attenzione ed è anche un modo per dare una forte connotazione all’album, una strada intrapresa per infondere allo stesso un forte messaggio di identificazione del singolo. Quindi non temete: non si presenteranno al concerto del primo maggio con vistosi foulard verdi (anche se – bisogna dirlo – all’ultimo concerto di Piazza San Giovanni non hanno avuto modo neanche di esibirsi, per motivi riguardanti un ritardo nella scaletta).
Come dichiarato da Manuel Agnelli è solo “un titolo provocatorio che usa una terra che peraltro non esiste per parlare di una condizione interna, esistenziale dell’individuo”. Ecco appunto, una terra che non c’è.