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Cui prodest? Il futuro dell’Italia, tra riforme e discorso politico /1

Mario Monti e Emma Marcegaglia

di Attilio Greco

Neanche il tempo di rientrare dal viaggio istituzionale in Asia e vedere licenziato, da parte del governo, il testo sulla riforma del lavoro, che Monti e i suoi hanno dovuto incassare le prime, durissime, critiche da parte della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, e delle altre categorie rappresentative degli imprenditori. Le opinioni degli industriali sono state peraltro anche accolte in Parlamento, soprattutto da esponenti del Pdl che hanno annunciato l’intenzione di ottenere sostanziali “aggiustamenti” al Senato. Di diverso parere, invece, sono stati Pd e Cgil, secondo i quali le recenti modifiche apportate dal governo al testo originario, rappresentano un indubbio passo in avanti, soprattutto per quel che riguarda la revisione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori. Quanto accaduto non è che lo specchio di questi primi sei mesi di governo, durante i quali si sono contrapposte più voci diverse e contrarie tra loro, alla faccia della tanto invocata unità chiesta da Napolitano. Da un lato il Monti uomo immagine, chiamato a sponsorizzare l’Italia e la sua economia ai quattro angoli del mondo, come avvenuto di recente quando il presidente del Consiglio ha dovuto sostenere un’estenuante tournée proprio nella tana delle “tigri asiatiche”, cioè di quelle, non più emergenti ma anzi consolidate, economie del Sud-est asiatico, in primis Cina e Corea. Con il rischio concreto di finire letteralmente divorato dai politici domatori di queste rampanti e giovani economie. Dall’altra parte, invece, c’è il Monti amministratore della res publica, capo del Governo e ispiratore con la Fornero di ogni sorta di riforma economica e sociale degli ultimi mesi. Accanto al governo, poi, il Parlamento e i partiti, con le loro grane giudiziarie e il malcelato desiderio di vendetta sui tanto odiati e temuti tecnici, rei di aver rubato loro popolarità e prestigio. Anche se si deve ammettere che, proprio negli ultimi giorni, alcuni politici sembrano aver fatto di tutto per tornare sotto la ribalta dei riflettori, a discapito però della loro fedina penale. Sullo sfondo, infine, le parti sociali e le associazioni di categoria, chiamate proprio da questo governo a esprimersi e a dire la loro molto più di quanto fosse stato loro permesso in passato. Con il risultato, talvolta, che a voler voler parlare tutti, si finisca con il parlare in troppi. A fare da spettatori i cittadini, ancora incerti su se applaudire o piuttosto fischiare lo spettacolo in corso. Ci sentiamo di fare un pronostico, quindi diciamo che saranno più fischi che applausi, almeno a giudicare dai recenti orientamenti.

La leader della Cgil, Susanna Camusso, con il premier Monti

Il compito di Monti, quindi, non è certamente dei più facili, considerata la scarsità di alleati e la non troppo esaltante partecipazione di altri. Lungi dal voler difendere l’intero operato dell’attuale governo, non si può tuttavia mettere in discussione la difficoltà del compito. E’ difficile recuperare, in termini di immagine e attività legislativa, la controproducente nullafacenza del governo Berlusconi. Quindi va apprezzato il tentativo di far ripartire l’economia partendo dal lavoro, considerando che il precedente esecutivo, ad inizio crisi, si limitò a dare vita ad una serie di incentivi per il consumo, in favore di “settori economici strategici” come l’industria dell’auto e degli elettrodomestici. Se una risata vi seppellirà, un frigorifero vi salverà: dev’essere stato questo il pensiero di Tremonti e compagnia nel 2009, quando, invece, Obama annunciava un piano di aiuti di Stato da oltre 800 miliardi di euro, nazionalizzando e salvando dal fallimento società come la Chrysler. Ma se è ancora presto per dare un giudizio sull’operato dei tecnici, non lo è però per riconoscere loro la serietà dei tentativi. Non è semplice condurre in porto le riforme di cui necessita come l’onestà questo Paese, considerando la natura della maggioranza che sostiene il governo: Pd, Udc e Pdl da fieri avversari si trovano ora a difendere Monti e i suoi ministri come mai avrebbero immaginato. Con risultati talvolta immaginabili. Così se una volta è il Pdl a contestare la proposta del Pd ad una riforma della Rai, un’altra volta è invece il Pd a mettersi di traverso sul tentativo del Pdl di rivedere il meccanismo della responsabilità civile e penale dei magistrati. Anche le parti sociali non sono da meno. Da anni i rapporti tra la Cgil, il primo sindacato italiano per storia e numero d’iscritti, e le altre due grandi confederazioni, Cisl e Uil, non sono più come un tempo. Complice, anche in questo caso, la politica adottata in passato dai governi Berlusconi, tesa a dividere sulle loro posizioni i sindacati e dunque a indebolirli. Non c’è dunque da stupirsi se oggi è proprio la Cgil a contestare la riforma del mercato del lavoro, giudicandola irricevibile e pericolosa, mentre Cisl e Uil ne ammettono i principi e la struttura così come delineati dalla Fornero. Qualcuno dirà che tra i due litiganti, siano essi i partiti o le parti sociali, il terzo gode. Non è così purtroppo quando il terzo è chiamato a fare da arbitro, in questo caso Monti, impeccabile quando si tratta di rispondere per le rime o a richiamare all’ordine qualche voce fuori del coro. Il Professore ha sempre avuto in questi mesi un sorriso per ognuno, un rimprovero amichevole o una mano tesa per l’avversario di turno. Non stavolta però, quando all’ennesima critica sulla riforma del lavoro, in particolare sull’art. 18, Monti non c’ha visto più, tradendo la fiducia di chi vedeva in lui la pazienza biblica di un redivivo Giobbe. Evidentemente i rimproveri della Marcegaglia sull’operato del governo sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso, spingendo il premier a replicare duramente: “Una riforma così erano mesi che la sognavate”. Queste le parole del presidente del Consiglio, che per la seconda volta – la prima fu quando disse che, una volta conclusasi l’esperienza del governo tecnico, sarebbe tornato ad insegnare – dice espressamente ciò che pensa della sua esperienza politica, senza mezzi termini o riguardi particolari.

Le parole di Monti riassumono in pieno il pensiero di milioni di italiani. Sono da considerarsi sopratutto il manifesto dell’attuale insoddisfazione italica. Ci permettiamo, a proposito, di precisare l’entità temporale dei nostri sogni: erano anni, signor presidente, che ci sognavamo non una riforma così ma che almeno qualcuno ne parlasse. Gli ultimi vent’anni, dalla fine della Prima Repubblica, contengono i prodomi della crisi attuale che, lo ricordiamo, è principalmente politica e poi economica. Un anno fa lo spread italiano viaggiava su ritmi accettabili e il debito pubblico non incuteva più timore del solito. A cambiare fu la percezione dei mercati a proposito della forza della politica italiana: se la più grande maggioranza della storia repubblicana d’Italia, guidata dall’unico vero leader politico, Silvio Berlusconi, non ha le risorse per riformare il Paese come chiesto dall’UE, allora qualunque attacco finanziario e politico contro il Belpaese ci è concesso. Da quel momento alla crisi finanziaria preesistente, e comunque in via di risoluzone, s’aggiunse la crisi economica dei debiti sovrani, dovuta all’incapacità delle classi dirigenti di vari paesi europei di riformare l’impalcatura fondante di quegli stessi Stati e delle loro amministrazioni. Il problema quindi non è mai stata l’assenza del principio costituzionale del “pareggio di bilancio”, peraltro una bufala pazzesca. Oppure la riforma dell’art. 41 della Costituzione. Il problema non è mai stato spendere i soldi, perché se non li si spende non si capisce a che servano. Il dramma è quando il denaro pubblico viene gestito male, mentre le risorse dei privati sono requisite per colmare i buchi gestionali causati da una amministrazione malandrina. Non è richiesta alcuna competenza specifica per capire cose come queste, patrimonio culturale e di vita di ogni italiano da Nord a Sud. Semmai c’è da chiedersi come mai negli ultimi vent’anni vi sia stato un sostanziale immobilismo, da parte della politica, sul fronte delle riforme e della gestione del Paese, a fronte d’una frenetica iperattività per ciò che riguardava il foraggiamento della classe dirigente. C’è da chiedersi dove fossero magistratura, mezzi di informazione e opinione pubblica. La prima il suo l’ha fatto in qualche caso, un po’ meno i secondi, assolutamente nulla, invece, la terza. I cittadini sono i primi responsabili, non i politici. Questi ultimi, quando salgono al potere, difficilmente se ne privano ma finchè non ci arrivano, sono alla mercé del popolo. Dov’era quest’ultimo? Solo recentemente pare essersi svegliato, dando una dimostrazione di forza notevole soprattutto con i risultati degli ultimi referendum abrogativi su nucleare e privatizzazione dell’acqua. Per il restante tempo, invece, pare che fosse stato abilmente irretito da alcuni imbonitori che promettevano servizi pubblici efficienti e all’avanguardia, a fronte di una diminuzione delle tasse ma non della spesa pubblica. Come dire che 1+1-2-10 dia come risultato 8. Eppoi ci si lamenta che gli studenti italiani risultano particolarmente carenti, a fronte dei colleghi stranieri, proprio in matematica.