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10. John Tyler, il presidente di nessuno

John Tyler, whig (presidente dal 1841 al 1845)

di Gianmarco Botti

“Se l’ondata di diffamazione e di ingiuria cesserà
e la mia amministrazione arriverà ad essere apprezzata,
i futuri vice-presidenti
che eventualmente subentreranno nella presidenza
potranno avere un qualche incoraggiamento
a tirare dritto per la loro strada”

La scelta di tenere il suo lunghissimo discorso di insediamento sotto un violento temporale era costata a William Henry Harrison la vita e agli americani il loro presidente. Era la prima volta, in cinquant’anni di storia, che gli Stati Uniti perdevano un presidente in carica e si trovavano improvvisamente privi di una guida. L’incertezza regnava sovrana e nessuno sapeva cosa sarebbe successo: lo spettro del ritorno alle urne, a così breve distanza dall’ultima tornata elettorale, aleggiava per il Paese, portando con sé il rischio dell’instabilità politica che si sarebbe aggiunta, aggravandola, a quella economica. Da questo momento di impasse, tuttavia, gli americani seppero venir fuori facendo ricorso a quella capacità di trovare soluzioni ai problemi in tempi rapidi e a quello spirito pragmatico che da sempre costituiscono il loro DNA: il vice-presidente in carica, John Tyler della Virginia, si impose come nuovo capo del governo appellandosi al diritto di successione. Non fu facile per Tyler sostenere davanti al Paese la propria parità di rango con i presidenti eletti, ma quando il Congresso approvò la sua nomina fu stabilito un precedente che vale ancora oggi. Ma chi era il nuovo inquilino della Casa Bianca, il primo presidente non eletto degli Stati Uniti d’America? Dopo un’iniziale militanza fra i democratici, Tyler era passato nelle file dei whigs e con loro aveva conquistato la vice-presidenza. Dopo appena un mese, senza aver avuto il tempo di maturare alcuna esperienza di governo, si era ritrovato “commander in chief”. Troppo democratico per i whigs e troppo whig per i democratici, Tyler ebbe tutti contro nei quattro anni della sua presidenza e fu costretto molto spesso a porre il veto su progetti di legge avanzati dal suo stesso schieramento. Durante una riunione speciale, i congressisti whig approvarono addirittura la sua espulsione dal partito e la quasi totalità dei membri del suo gabinetto rassegnò le dimissioni, venendo presto rimpiazzata da Tyler con ex democratici come lui, provenienti da stati del Sud. Allo scadere del mandato Tyler, che ormai era additato dai whigs come un traditore, sperava di essere rieletto come candidato dei democratici o di un terzo partito, ma le sue speranze si rivelarono vane. Dalle elezioni del 1844 uscì vincitore il democratico James Knox Polk, convinto espansionista. Si può dire che Tyler stesso gli avesse spianato la strada, proprio con l’ultimo atto della sua presidenza e forse il solo di una qualche importanza: la questione, particolarmente sentita in un momento in cui all’esigenza dell’ampliamento dei territori dell’Unione si accompagnavano le prime rivendicazioni antischiaviste, riguardava l’annessione del Texas, stato di tradizione fortemente schiavista che da tempo chiedeva di entrare a far parte degli Stati Uniti. Più di un presidente, e su tutti il vecchio Van Buren, aveva evitato di prendere posizione sullo spinoso argomento per impedire che si scatenasse uno scontro fra schiavisti e antischiavisti (cosa che non molti anni dopo si verificherà nella forma della guerra civile). Ma Tyler, che voleva riscattare la sua figura e lasciare la scena politica in maniera gloriosa, agì diversamente: subito dopo le elezioni, che avevano visto vincitore l’avversario democratico, a sorpresa il presidente dichiarò che il popolo si era espresso a favore dell’annessione e che pertanto era necessario che il congresso votasse una risoluzione. In breve tempo, nonostante l’opposizione dei congressisti antischiavisti, la risoluzione venne approvata da Camera e Senato e Tyler la firmò il primo marzo del 1845, appena due giorni prima di abbandonare la Casa Bianca. Dopodiché quel presidente venuto fuori dall’ombra nell’ombra ritornò, lasciando però ai suoi successori una bella gatta da pelare: quella di un vastissimo territorio, ormai parte a tutti gli effetti degli Stati Uniti d’America, che fondava gran parte dell’economia su una pratica, lo schiavismo, che di lì a poco avrebbe manifestato i suoi effetti dirompenti sul tessuto sociale e politico della nazione, rischiando di dividerla per sempre.