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Sanremo: il Festival della canzone tra critiche e costume

di Brando Improta

Si è concluso sabato scorso il 62° Festival della canzone italiana, confidenzialmente Sanremo.
Arriva così il momento di tirare un bilancio anche di questa edizione, condotta da Gianni Morandi con la collaborazione di Rocco Papaleo e della modella Ivana Mrazova; purtroppo bisogna subito dire che, dovendo ripensare alle cinque serate della gara, ci son più ricordi negativi che positivi.
Sorvolando sulle varie vicissitudini che già in partenza hanno martoriato questa edizione (la Mrazova assente durante la prima sera per motivi di salute, presunti plagi e le votazioni che non funzionano), partiamo con l’analizzare la qualità delle canzoni in gara: il direttore artistico Gianmarco Mazzi e lo stesso Morandi si sono impegnati molto per fornire al pubblico la più vasta gamma di canzoni inascoltabili e banali che la storia del festival ricordi. I soliti cantantucci provenienti dai talent show (Noemi, Emma, Pierdavide Carone), alcuni artisti troppo misconosciuti per essere considerati appunto artisti (Chiara Civello, Nina Zilli, Irene Fornaciari) e qualche nome più famoso di richiamo come specchietto per le allodole (Lucio Dalla che accompagna Carone, Eugenio Finardi, Gigi D’Alessio, Samuele Bersani). Fra quattordici artisti in gara, sono poche le canzoni davvero ascoltabili, e ancora meno quelle che conquisteranno la vetta delle classifiche dei più venduti, ma questo è davvero niente in confronto alla vacuità delle proposte giovanili; dopo essere stati abituati a cantanti emergenti come Alex Britti, Syria o Fabrizio Moro, ecco che dobbiamo ingoiare un amaro boccone: constatare che nessuna delle nuove proposte ha portato una canzone che sia matura o almeno decente. Il peggiore di tutti è un quindicenne proveniente dal talent “Io canto”, tale Alessandro Casillo, dal capello pettinato alla Zac Efron, che saltella e piange mentre si esibisce.

Passiamo ora agli ospiti, la prima serata si apre con Luca & Paolo, che dovrebbero fungere da portafortuna, avendo presentato l’edizione precedente del festival insieme a Morandi. Le due storiche iene propongono un monologo fatto interamente di parolacce, insultando il premio oscar Roberto Benigni e sbeffeggiando i famosi silenzi e la storica difesa delle foche di Adriano Celentano. Bizzarri e Kessisoglu escono così dalla stretta cerchia degli artisti intelligenti per entrare in quella, molto più ampia, dei deficienti. Ma peggio ci va con la seconda serata, in cui assistiamo a vari sketch della coppia comica del momento: I soliti idioti. Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio, infatti, propongono scenette meno volgari del loro solito, ma proprio per questo scialbe, a dimostrazione di come molti personaggi si rivelino per quello che sono se privati dalle parolacce. Ma non basta, perché i soliti idioti si adoperano anche in una triste presa in giro degli omosessuali, al limite del razzismo, con Biggio che decide anche di baciare sulla bocca Morandi per ricordare al pubblico il fenomeno Littizzetto di dieci anni fa.
Poi tocca ad Alessandro Siani: l’attore napoletano anima la quarta serata del festival, con battute divertenti, si potrebbe trattare del primo ospite comico interessante. Peccato che si diverta a prendere in giro gli orchestrali, che rida da solo alle sue battute e che concluda la performance con un monologo serioso su Nord e Sud, che dovrebbe risultare poetico e intelligente, ma che sa di furbata imparata a memoria per darsi un tono.
Ma l’apice della bestialità lo toccano coloro che avevano inaugurato la lista degli ospiti ‘divertenti’: Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu. Invitati da Morandi durante la serata conclusiva, per riscattarsi dopo la figuraccia fatta nella prima, i due si presentano truccati da clown e ripropongono, con leggere modifiche, un famoso monologo del grande Totò. Tralasciando l’abisso recitativo che separa la coppia dall’attore napoletano, ci si aspetterebbe che i due lo nominino, soprattutto ad appannaggio delle nuove generazioni che potrebbero non sapere appartenga al principe De Curtis. E invece no. Finito il loro sketch, i due vanno via, lasciando così sottintendere a molte persone digiune di memoria cinematografica, che il monologo l’abbiano scritto loro. Tornano infine sul palco, ma non per ringraziare Totò, bensì la Rai che li ha invitati e Mediaset che ha dato loro il permesso di cambiare rete per un po’.
Tornando ai cantanti, e alle attese proclamazioni dei vincitori, sia per la categoria degli artisti, che per la categoria dei giovani. Fra i giovani vince Alessandro Casillo (proprio lui, quello che mezza Italia considerava come il peggiore) e, durante la serata finale, dobbiamo risentirlo pure cantare: ci sono canzoni che riascoltandole migliorano, ma la sua non è fra queste.
Durante l’ultima serata, infine, viene annunciato il podio dei finalisti, scelta dal televoto: al primo posto Arisa, al secondo Emma, al terzo la coppia D’Alessio-Bertè. Ma Morandi annuncia un colpo di scena: la sala stampa può sconvolgere la tripletta con il voto dei giornalisti; accade così che Noemi sale al primo posto buttando fuori il cantautore napoletano e la sorella di Mia Martini. Ecco quindi che Sanremo si gioca anche la fedeltà degli spettatori, di quel pubblico che ha speso dei soldi per scegliere chi far arrivare alla fine e che si sente tradito perché, di fatto, conta molto meno di una trentina di giornalisti. Alla fine vincerà Emma, con una canzone che sa di già sentito, lasciandosi alle spalle signori della musica come Finardi o Dalla, e continuando la triste sequela di vincitori strappati ai reality della musica.

Molte persone criticano Sanremo prima ancora che cominci, alcuni non lo guardano a prescindere perché pensano che non rispecchi più un’Italia mutata nel tempo e diretta sempre più verso altri lidi e orizzonti. Ma, nonostante quanto sia stato scritto fin ora, anche questa edizione del Festival ha regalato alcune emozioni, emozioni per le quali vale ancora la pena pensare che sia uno spettacolo superiore alla media, al di là degli indici d’ascolto. Si possono scegliere tre momenti esemplari in tal senso: il primo è la serata che ha visto duettare con i cantanti in gara, artisti del calibro di Patti Smith, Al Jarreau, Brian May o Josè Feliciano, regalando finalmente attimi di grande commozione musicale, di artisti indelebili nel nostro immaginario che hanno scelto proprio l’Ariston per tornare a farci sognare in diretta; il secondo è la partecipazione di un mito come Adriano Celentano, che quando canta e balla fa venire ancora un luccichio agli occhi difficile da evitare e che, nel bene o nel male, ha ancora il coraggio di esprimere in pubblico le proprie idee e le proprie critiche, in un mondo televisivo sempre più censurato e uniformato in pensieri dettati dall’alto; il terzo è Rocco Papaleo, già attore e regista di grande talento, che ha saputo ironizzare anche nei momenti più difficili, e che meriterebbe molto più spazio sui giornali rispetto alla farfalla di Belen Rodriguez o al playback della Bertè, perché ha dimostrato cosa significa essere divertenti con classe e dignità.

Ma se questo non dovesse bastare a far aumentare il pubblico per l’edizione del 2013, allora ci può essere un quarto esempio, da ricercare al di fuori del tubo catodico: in un ristorante affollato, durante il sabato sera, tutti chiacchierano fra loro senza far caso alle immagini che scorrono nelle televisioni appese al muro; un cameriere cambia canale, passando dal film di Canale 5 alla finale del festival di Sanremo e, come per magia, tutti alzano la testa per sapere chi vincerà.
Qualsiasi cosa si possa dire del nostro paese che cambia, in meglio o in peggio che sia, resta sempre un posto pieno di vivacità e fantasia, di voglia di cantare e di sentir cantare, di musica che è sempre nell’aria anche quando sembra ci sia silenzio. Resta sempre un posto dove tutti, per qualche sera, hanno voglia di condividere un evento e di sentirsi uniti, senza distinzioni di nessun tipo, per fare il tifo al proprio cantante preferito.