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Il potere delle persone e la forza delle idee

di Roberto P. Ormanni

E’ stata una settimana memoranda quella vissuta dall’Italia negli ultimi giorni. Una settimana, e alcune date in particolar modo, che potrebbero tornare a memoria, tra cent’anni, nelle pagine dei manuali di Storia italiana, con diversi epiteti. Fine della Seconda Repubblica, epilogo politico costretto (dal mercato, non dagli italiani) del Cavaliere Silvio Berlusconi, chiusa di un circo sconclusionato durato vent’anni.
Eppure, forse, le scelte e gli eventi di questi giorni rappresentano nient’altro che il tentativo, fuori tempo massimo, di recupero forzato di un’Italia in fin di vita. Un’Italia presa, stuprata, svuotata e lasciata sul lastrico dal nulla. Un nulla fatto di riforme sociali mancate, di populismo farneticante ed imperante, di discorsi politici fermi a zero, di alternative incompiute e inconsistenti. Un nulla che ha preso il nome di “berlusconismo”, ma che non è stato solo Berlusconi. Berlusconismo, infatti, è stato (e forse è tuttora e sarà ancora) un fenomeno assoluto, sociale, ideologico e culturale, che ha interessato tutto e tutti, indistintamente, in alcuni casi indirettamente. In ogni angolo del paese, pubblico o privato che fosse, il nulla è spuntato ed è cresciuto. Non esiste sistema fondato su un unico soggetto. Berlusconi offriva il nulla, l’Italia tutta si adeguava. Il paese è andato a picco perché mentre un vecchio re, sostenuto dalla sua consorteria, cianciava e blaterava, tutti gli altri stavano ad ascoltarlo e a criticarlo, senza dare vie di sbocco o salvezza ma concentrandosi sul nulla. Eppure, a furia di parlare del nulla, si diventa nulla. E l’Italia da recuperare, oggi, è un unico grande vuoto.

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Dopo le dimissioni obbligate di Silvio Berlusconi, il nuovo presidente del Consiglio, l’economista bocconiano Mario Monti, chiamato da Napolitano a guidare la nave-Italia fuori dalla tempesta della crisi, ha costruito il suo governo tecnico, fiduciato alla Camera e al Senato con numeri da record, accogliendo il sostegno bipartisan, da destra e sinistra (eccezion fatta per la Lega Nord). Un governo composto di diciassette tecnici per diciotto ministeri (13 con portafoglio e 5 senza portafoglio). Tra i professori, gli economisti e i giuristi riuniti da Monti, nessun politico di professione. Volti anonimi, sconosciuti ai più, rispondenti tutti ad una cultura comune, che si può rileggere nel programma delle misure presentato. Un programma improntato sull’ideologia di destra classica, cattolica e liberale, “a metà fra il moderno conservatorismo europeo e la destra storica di Cavour e Minghetti”, come disegna Curzio Maltese. Punti programmatici che parlano di ritorno all’Ici, di pensioni calcolate con il sistema contributivo pro rata, di lotta all’evasione fiscale, di mercato del lavoro con contratto “unico” e a tempo indeterminato. Un programma discutibile, certamente, a cui, però, bisogna credere almeno un po’, perché è questa la strada intrapresa per non andare a picco e bisogna percorrerla fino in fondo nel migliore dei modi.
Nel frattempo, ora, mentre parte la corsa dei partiti agli scranni di sottosegretari, qualcosa di nuovo già prende forma. Il tono della discussione politica, infatti, sembra tornare a una realtà dimenticata da troppo e da troppi. La stampa straniera non riserva più titoli da prima pagina per “bunga bunga” o notti brave all’italiana. Il registro del discorso pubblico sembra abbandonare concetti come “leggi ad personam”, “magistratura rossa” o “stampa di sinistra”, per far posto a temi come risanamento, equità, Europa, lavoro: termini obliati, eppure autentici e materiali come non mai. Ed è al mondo reale che Monti deve guardare, senza fronzoli o false parole di conforto, ma riconoscendo chi ha dato di meno e chi ha già dato tutto.
Salvare l’Italia “è quasi impossibile, ma ce la faremo”, ha annunciato il Premier: una verità esposta (eppure mai considerata dagli ex-governanti) da affrontare a volto scoperto, con sacrifici responsabili e con confronto vigilante.
Tra i tanti provvedimenti necessari, però, c’è una misura, forse la più importante, che deve intervenire per curare il Paese ed è l’operazione per la riconquista della fiducia della società civile. Troppa distanza, oggi, si interpone tra i cittadini e le istituzioni: un abisso senza fine, colmo di sfiducia e diffidenza. Sarà compito di Monti e del suo governo livellare anche questo problema, per eliminare ogni appannaggio nel rapporto della comunità.
L’Italia è in emergenza e bisogna partire da lontano per risalire la china.

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Giovedì 17 è stata la Giornata mondiale dello Studente, anniversario commemorativo dell’eccidio nazista, consumatosi nel 1939 in Cecoslovacchia, di studenti e professori che si opponevano al regime. In Italia, in settanta città diverse, 150mila studenti sono scesi in piazza.
Eppure, nonostante la data del 17 novembre fosse un momento per celebrare il democratico e universale diritto allo studio, nel Belpaese gli studenti si sono affidati e fossilizzati su slogan d’occasione per criticare il neonato esecutivo di Monti, definito “governo di banchieri” e, quindi, prima “causa di ogni crisi”.
Anche a Napoli, diecimila studenti si sono mobilitati, sfilando per le strade. Ciononostante, i numeri non bastano e soprattutto non servono se la manifestazione sociale non ha dietro di sé un discorso fondato su una discussione critica e portato avanti con argomenti validi. La massa sarà sempre strumentalizzata e non sarà mai ascoltata se non svilupperà al suo interno proposte fondate e riflessioni funzionali. Non basterà un corteo e non ne basteranno cento se a questi non si affiancherà una crescita dialettica tra le parti.
Il nulla striscia e si insedia ovunque, tra i potenti seduti in poltrona come tra i giovani movimenti che crescono con la speranza di cambiamento. Servono argomenti, gli slogan urlati al megafono non servono più.
In America, gli indignati di Wall Street, da due mesi a questa parte, non abbandonano le piazze occupate: hanno scelto di avanzare un ragionamento sincronizzato, mai interrotto, che lentamente prende forma in un unico corpo.
La democrazia è questo: discutere a lungo e progettare insieme a lungo termine. Libertà di espressione non vuol dire solo libertà di manifestazione. Libertà di espressione è libertà di progettazione.