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“La ballata del Cacciatore e della fiera”

di Riccardo Pulcini

Un azzurro eterno avvolgeva la terra
sotto il Cielo dei Titani e dei Demoni,
ed un mare che lentamente
prendeva a cantare.

Solo il Cielo è immortale.
E il ruscello che attraversava
per intero la selva, lo sapeva.
Solo il Cielo è terra ferma in mare aperto,
riflesso di un dio
che si è perso nell’universo.

Solo il Cielo è immortale.
E il narciso che si specchiava
nelle acque diafane, e che
vedeva riflettersi adamantino
il volto cristallino dell’azzurro eterno,
anche lui, lo sapeva.

Vittoria! Quell’urlo mezzo umano
che di humanitas non ha niente.
E pur, tutti la vanno cercando:
c’è chi cerca la Vittoria,
dentro il pozzo dell’anima sua,
chi dentro occhi estasianti
e talvolta maledetti,
chi dentro un Cielo che è immortale.

La fiera leonina vagava,
come naufrago in mare aperto,
ignorando come tutti
l’esistenza di un Cielo
che sembrava esser stato dipinto
di un colore che trascendeva
il vermiglio e il cremisi,
dalla Mano eterna.

Solo il Cielo è terra ferma in mare aperto,
e il ruscello che attraversava
per intero la selva, lo sapeva.
Solo il Cielo è immortale.
E il ruscello che attraversava
per intero la selva, lo sapeva.

Un Cielo rosso sangue
troneggiava sulle teste
chine per il peso dell’esistenza,
mentre nuvole gravide
di vento si architettavano
come vene e arterie
della volta celeste.

Il Cacciatore vagava,
alla ricerca della preda,
alla ricerca della Redenzione,
del Perdono che si era promesso,
in cambio della vittoria.

Vittoria! Quell’urlo mezzo umano,
che di humanitas non ha niente.
E pur, tutti la vanno cercando:
c’è chi cerca la Vittoria,
dentro il pozzo dell’anima sua,
chi dentro occhi estasianti
e talvolta maledetti,
chi dentro un Cielo che è immortale.

E poi bastò fare,
ciò che il pozzo chiedeva di fare,
ciò che gli occhi imponevano
allo spirito impotente di eseguire.
Per quell’urlo mezzo umano,
che di humanitas non ha niente.

La bestia si accasciava lentamente
ai piedi del ruscello,
tra narcisi titanici ed alberi di pesco.
Con un occhio indovinava la morte,
con un altro afferrava il Cielo.

Vittoria! Quell’urlo mezzo umano
non sapeva di Perdono,
sapeva di maledizione!
Dell’eterna dannazione!

Ma il Cacciatore guardava la fiera,
impassibile e impotente,
e poi guardava il Cielo,
vermiglio come il sangue
che gli scorreva nelle vene, ardendo.
E non gli sembrò mai, come quel giorno,
un Cielo immortale, che stesse morendo.

Per quell’urlo mezzo umano,
che di humanitas non ha niente.

E pur, tutti la vanno cercando:
c’è chi cerca la Vittoria,
dentro il pozzo dell’anima sua,
chi dentro occhi estasianti
e talvolta maledetti,
chi dentro un Cielo che è Immortale.