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Un anarchico a Belgrado

foto di Luca Ciaramella
di Luca Ciaramella
Generalmente i giornalisti non dedicano i loro articoli. Tuttavia, sono sicuro che se ho scritto l’articolo che state per leggere, lo devo ad una persona molto cara, le cui parole mi hanno spinto a metter nero su bianco questi pensieri.
Per questo (e molti altri motivi) mi piacerebbe dedicare quest’articolo a Mira Lukovic.

BELGRADO – Io, come d’altronde molti miei coetanei, ho sempre pensato alla Guerra come un concetto distante, tanto nello spazio quanto nel tempo.
Prima di aver sviluppato una coscienza sociale e politica non me ne sono mai curato: troppa poca la voglia di combattere le ingiustizie, troppe poche le cicatrici che sfregiavano la realtà che mi circondava.
Dopo aver sviluppato la suddetta coscienza, tuttavia, più che curarmi della (nostra) Guerra in sé, mi sono interessato più che altro alle scorie, che il nostro bel Ventennio aveva creato. (Parlo di quei piccolidi Casapound che, nella confortevole sicurezza delle ideologie che reprimono il dissenso, continuano ad alzare il braccio destro in nome di un passato “glorioso”).
Poi sono arrivato a Belgrado.
I primi giorni, quando passavo accanto agli edifici distrutti, (conoscendo la storia e il perchè di quelle macerie) abbassavo lo sguardo, come chi per non dare l’elemosina ad un povero guarda dritto davanti a sé, fingendo di non vederlo.
Ma io sono un anarchico. Uno che le ingiustizie, dalle più piccole alle più grandi, non le può sopportare. Presto il richiamo di quei palazzi esplosi mi costrinse a guardarli, dritti nei loro occhi vuoti e inesistenti.
Ho ascoltato il rombo dei caccia che, volando alti nel cielo sganciavano la loro personalissima idea di libertà; ho visto la notte incendiata dale fiamme delle bombe che esplodono.
Sebbene il sole non fosse ancora tramontato e fosse una tiepida fine di settembre iniziai ad avere freddo. Così mi incamminai con le braccia conserte e la mente piena di pensieri tristi verso la fermata del tram. Una volta arrivato in camera mia ho aperto la finestra (il mio quarto piano su Belgrado, direbbe qualcuno) e, in un tramonto così bello che se avessi chiuso gli occhi avrei continuato a vederlo, piansi lacrime di vergogna.
Per tre mesei la N.A.T.O. ha bombardato Belgrado, senza interruzione. Tutte le notti gli aerei della coalizione hanno lasciato cadere bombe che hanno messo, deliberatamente, la parola fine a migliaia di esistenze. Le bombe, a volte l’ironia è cosi’ diabolica, sulle loro fiancate recavano la scritta: “Angeli della Misericordia”.

La Guerra, amici miei, è così maledettamente vicina quando è la tua migliore amica a parlartene e non tuo nonno. Mentre io (noi) cazzeggiavo (cazzeggiavamo) con le figurine dei Pokemon, i miei compagni Serbi si nascondevano dale bombe sganciate per la libertà. Alcuni ce l’hanno fatta. Altri no.
Ora che le cicatrici della Guerra deturpano il volto della mia città il mio pensiero va a tutti gli amici con cui avrei potuto scambiare risate e pensieri che non ci sono piu’, alle mille scuse inventate da madri inermi per spiegare al proprio figlio che, di notte, un rifugio sotterraneo è piu’ sicuro del suo letto; alle generazioni e alle esistenze che, sebbene non siano state sfiorate dale bombe, sono state distrutte; a tutti quei fottuti capi di governo e ministri della difesa che si sono ricoperti di parole su cui (con I loro ordini e le loro decisioni) avrebbero sputato sopra senza pensarci due volte; a quei militari (non importa il colore delle loro maledette divise o lo stato che “servono”) che, facendo niente di piu il loro sporco lavoro, hanno tolto la vita a migliaia di innocenti.
Ma, sopra ogni cosa, il mio pensiero va a gente come Slobodan Milosevic, come Ratko Mladic e a tutti quei bastardi che sono convinti che la posizione rispetto ad un confine, che un nome diverso dato ad un dio qualsiasi, che il colore più scuro della pelle, siano tutti motivi più che validi per iniziare uno sterminio.
Mi auguro che il governo in carica della Repubblica Serba non stanzi nemmeno un centesimo per la ricostruzione post-bellica. Credo che gli ospedali e gli asili distrutti siano più eloquenti di qualsiasi monumento posticcio.

Continuo a camminare per Belgrado in sere di fine estate come questa e, ogni volta che vedo gli scheletri senza vita dei palazzi distrutti mi viene da piangere. Trattengo le lacrime.
A volte ci riesco, altre volte no.