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Test di Medicina: lettera di una studentessa adirata. La selezione è perfetta?

 

di Costanza Rapillo

Caro direttore,
cari lettori,
mi rivolgo a chiunque abbia due minuti per riflettere su una questione: i test di ammissione all’università.
Mi definisco una studentessa adirata perché il 5 settembre 2011 ho svolto la prova di ammissione alla facoltà di Medicina e chirurgia-Odontoiatria e protesi dentaria, e pochi giorni fa ho scoperto di non essere tra le vincitrici del concorso. Se vi dico che il mio scontento e la mia delusione non ricadono su me stessa, non consideratemi un’arrogante, ma abbiate la pazienza di capirne il perché.
Era l’Ottobre del 2010 quando ho deciso di iniziare a studiare per superare il Test, e, dato che sono una studentessa del liceo classico, non avendo una preparazione abbastanza approfondita dei programmi di chimica e di biologia, mi sono rivolta ad una professoressa di scienze della scuola secondaria superiore per delle lezioni in materia. Ci siamo incontrate una volta alla settimana per un’ora e mezzo circa e, a metà agosto, abbiamo portato a termine i programmi delle due discipline indicate. Lo studio teorico è stato ovviamente supportato da una buona dose di test, sia di chimica e biologia, che di cultura generale, matematica e fisica.
Nonostante tutto, però, il mio 39.50/80 non è bastato.
I motivi per cui io sono contraria al Test (e avrei scritto questa lettera anche nel caso fossi riuscita a passarlo) sono molti.
Il primo problema è la motivazione che ha spinto ad adottare questo metodo di selezione rapido ed indolore dei futuri architetti, medici, dentisti, infermieri, farmacisti. Nella legge del 2 Agosto 1999, a proposito dei nuovi criteri di ammissione all’università, è scritto quanto segue:
“2. La valutazione dell’offerta potenziale, al fine di determinare i posti disponibili di cui alle lettere a), b)e C) del comma1, è effettuata sulla base dei seguenti parametri :
1) posti nelle aule;
2) attrezzature e laboratori scientifici per la didattica;
3) personale docente;
4) personale tecnico;
5)servizi di assistenza e tutorato”.
Il problema, allora, è di risorse (materiali ed umane)?
A luglio ho frequentato dei corsi specifici per la preparazione al Test, nella Facoltà di Napoli Federico II, e le aule a disposizione contenevano ognuna 561 persone. I posti messi a disposizione per il corso di laurea in medicina sono invece 397. Uno dei professori stessi, durante una lezione, esclamò: “Come sarebbe bello vedere queste aule così piene non solo durante due settimane di luglio, ma durante tutto l’anno!”.
Per quanto riguarda i laboratori scientifici, il personale, i servizi di assistenza tecnica, sono tutti problemi che andrebbero risolti con incentivi economici per le facoltà più bisognose, e non con la diminuzione del numero di iscritti . Se coloro che desiderano diventare medici sono 90.000, e le strutture, i laboratori, i docenti non sono sufficienti, è più logico diminuire i posti a disposizione a 9000 o aumentare le risorse? Altro dato, poi, viene alla mano: il numero dei rinunciatari durante il corso di studi, che rende inferiore il numero di laureati e impossibile una sovrabbondanza di dottori (al contrario, molte previsioni statistiche dicono che presto molti medici nella fascia di età da 60 a 70 anni andranno in pensione, e con tali test non saranno sufficienti i futuri professionisti).
Il secondo problema riguarda le conoscenze richieste per superare il concorso.
Il Test è costituito da 80 quesiti a risposta multipla(tra 5 il candidato deve sceglierne una soltanto che sia esatta), dei quali 40 di cultura generale, 18 di biologia, 11 di chimica e 11 di matematica e fisica.
Sotto la voce “cultura generale” sono incluse storia, geografia, attualità, letteratura, geografia astronomica, lessico italiano(sinonimi, contrari), grammatica italiana, logica verbale, interpretazione di testi. Conoscenze che, ovviamente, non possono essere assimilate negli anni in cui lo studente decide di iniziare a prepararsi, ma devono fare parte del suo bagaglio culturale acquisito in una vita. Il problema è definire che cos’è questa “cultura generale” e quanto conti davvero per la preparazione di un futuro medico. Certamente sarebbe l’ideale avere medici che sappiano di Dante o delle eclissi lunari, ma sarebbe meglio che questi siano efficienti sul campo, abbiano una vera vocazione e sappiano avere a che fare con i propri pazienti. La cultura va al di là di un test e non si può misurare in quarantesimi.
Bisogna sapere, inoltre, che a parità di punteggio tra due o più candidati, non è la preparazione scientifica che conta, la quale potrebbe anche dipendere dalla preparazione personale, bensì il punteggio ottenuto in “cultura generale”.
Per quanto riguarda i quesiti di chimica e biologia, questi vertono sui più svariati argomenti. I programmi sono pubblicati sul sito del Ministero, e vengono indicati come quelli affrontati durante la scuola superiore. In teoria. Ma in pratica?

Se fosse vero che i programmi coincidono, allora sarebbe sufficiente utilizzare i libri scolastici per la preparazione. Non è così. Oltre ai libri di 9000 test, di esercizi con relative spiegazioni, esistono libri di sola teoria, contenenti un maggior numero di informazioni, più specifiche e dettagliate, impossibili da trovare nei libri scolastici.
Il test sarebbe accettabile, dunque, soltanto nel caso in cui ogni singolo studente, finito il corso di studi, che sia esso un liceo scientifico o classico, linguistico o psico-pedagogico, abbia le capacità di affrontare il questionario senza ricorrere ad integrazioni dei programmi svolti. Qui sorge un altro problema: come si fa a garantire che tutti abbiano la stessa preparazione di base? Come si controlla se un programma è stato terminato dal professore responsabile?
Caro Ministro dell’istruzione, mi rivolgo a lei perchè adesso è lei la responsabile del futuro di migliaia di studenti italiani: le sembra ragionevole frenare un giovane volenteroso, che ha scelto una strada lunga e faticosa, soltanto perché non sa quanti atomi di idrogeno di differenza ci sono tra il benzene e il cicloesano? Le sembra giusto non considerare la forza di volontà, la passione, la vocazione rispetto alle sue conoscenze in storia dell’arte? Le sembra giusto sbarrare la strada a ragazzi che non conoscono la fisica o la matematica, non per mancanza di studio, ma per assenza di strumenti conoscitivi, che la scuola dovrebbe fornirgli?
Le sembra normale considerare il voto ottenuto all’esame di maturità soltanto a parità di tutti i punteggi conseguiti durante il test? Bisogna allora dare ragione a chi non si impegna nel proprio percorso scolastico, perché poi alla fine non conta un granché? L’unico motivo per cui potrei capire questa decisione, è la volontà di tutelare gli studenti della scuola pubblica, un cui 60 vale dieci volte di più di studenti provenienti da scuole private che preparano per due o tre anni in uno, senza verificare adeguatamente la preparazione effettiva dell’alunno.
Il Test di ammissione è scandaloso, ingiusto, non equo, un modo facile per diminuire drasticamente il numero di studenti da mantenere per sei anni di studi, il modo più semplice per garantire, a chi può ottenerla, una raccomandazione da parenti o amici. E’ un modo di selezione inutile e senza senso per una professione per la quale è necessaria prima di ogni cosa la vocazione, che non si spegne dopo un tentativo fallito, quindi porta gli studenti a riprovare per uno o due anni, portandoli alla laurea più tardi del dovuto e rendendogli le cose ancora più difficili.
L’Italia deve ricominciare ad investire su di noi, giovani e studenti, per darci la voglia di rimanere nel nostro paese a lavorare, ad arricchirlo, materialmente e spiritualmente; per permetterci di non essere rinunciatari e credere che il merito sia premiato davvero, e non soltanto sulla carta. Perchè non si sia costretti ad affermare, davanti a qualcosa che non va, “Che ti aspetti?E’ l’Italia!”.

Cara Costanza,
le parole che rivolgi potrebbero essere fraintese da qualcuno – come tu stessa hai scritto – come piagnistei dell’ultima ora. Non credo sia così. Le tue critiche sono oneste e legittime e sottolineano l’importanza di analizzare alcune situazioni.
La mancanza di investimenti nell’università, nella ricerca o nelle risorse culturali, è una delle piaghe del nostro Paese maggiormente visibili. Purtroppo lo studio, la cultura, sono elementi considerati “poco convenienti” da seguire: “Con la cultura non si mangia” o “Fatevi un panino con la Divina Commedia” sembrano frasi fatte, ma sono state pronunciate da un ministro del Governo italiano.
Inoltre, le conoscenze di uno studente e la preparazione effettiva dello stesso, una volta concluso il percorso di studi liceale, sono spesso oggetto di controversie: come si spiega la presenza nei test universitari di argomenti più specifici non trattati nei programmi ministeriali dei licei? Perché, tra le domande del quiz, materie come biologia o chimica (sicuramente più legate a programmi “medici”) ricoprono una parte relativamente esigua se confrontata a quella di cultura generale?
Probabilmente gli spazi così ridotti tra i banchi di medicina non sono legati soltanto alla mancanza di investimenti, ma anche ad un’effettiva difficoltà di gestire squadre troppo grandi di “futuri medici” (basti pensare alle corsie degli ospedali che accolgono i tirocinanti: riuscirebbero a sostenere un numero maggiore?). Eppure, ancora sono tante, troppe le domande circa le imperfezioni di un test che dovrebbe essere impeccabile.
Come hai segnalato tu nella lettera, cara Costanza, sarebbe fondamentale tener conto di fattori e valori aggiunti nei pretendenti al ruolo di medico: la passione, la dedizione, la forza di volontà. Il mestiere del medico, a mio modo di vedere, è un qualcosa di fortemente legato alla “vocazione”. Non esagero quando dico che un prete e un medico dovrebbero sentire la stessa fiamma, lo stesso impeto, nelle loro rispettive scelte. E anche per questo, dico, che un test di medicina completo dovrebbe guardare e giudicare un giovane anche con altre modalità di selezione, che possano mettere in luce quelle capacità fondamentali per un medico (disponibilità a rapportarsi con gli altri, capacità di lavorare in gruppo, etc.).
Lo stesso segretario nazionale dell’Associazione nazionale dei medici dirigenti, Costantino Troise, sostiene che il test sia “una formula di selezione assolutamente inadeguata” e che pesa la “mancanza di una graduatoria nazionale, per cui il punteggio necessario per la ammissione presenta una estrema variabilità da una sede all’altra: studenti esclusi in una Facoltà sarebbero stati largamente ammessi con lo stesso punteggio in diverse altre”.
Eppure, nonostante questi elementi, personalmente non credo che il Test di ammissione sia iniquo o ingiusto . O almeno non come spesso lo si intende. Secondo le statistiche, sono diventate più rare le “raccomandazioni” (caso eclatante: recentemente il figlio del dottor Alberto Zangrillo, medico personale del premier Berlusconi, non ha superato i Test) e testimonianze di giovani laureandi raccontano di come “figli di primari, oggettivamente non preparati in modo adeguato, siano stati bloccati ai test per due o tre anni”.
Il test com’è non è adeguato perché non completo, non permette un’analisi dello studente a 360 gradi. E inoltre una selezione all’ammissione non può essere un alibi per una mancanza d’investimento economico. Eppure abolire il Test e aprire le porte degli ospedali a tutti potrebbe essere pericoloso, e tanto.

Roberto P. Ormanni