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“L’ultimo degli alleati” – Capitolo 9.2 ‘L’ultimo degli alleati’

di Brando Improta

Eravamo su una Jeep noleggiata attraverso alcuni contatti dell’albergo. Ovviamente guidava Eugenio perché io di patente ancora non ne avevo voluto sapere; stavamo attraversando una zona abbastanza desertica, con una vegetazione ricca ma un clima talmente torrido da rendere quasi impensabile l’ipotesi che lì avremmo potuto incontrare anima viva.
“Mi hai portato qui per uccidermi senza avere testimoni?” dissi senza riuscire a tenere a freno la mia ironia.
“Bella battuta” rispose Eugenio freddamente “Ora ti dico io una cosa: evita di fare battute perché non mi faranno ridere, scordati che siamo amici perché non lo siamo più e pensa solo a fare qualche foto. Ho promesso a una persona che gliele avrei portate a Milano”.
Guardai la macchina fotografica che mi aveva piazzato in mano. Era una di quelle classiche usa&getta che si vendono ai turisti “Se ti fermi magari riesco a farle, con questa cosa in movimento al massimo può rimanere impressa una enorme chiazza verde che più che vegetazione sembrerebbe vomito… e manco ne sono sicuro”.
“Ti ho detto niente battute… tra un po’ ci fermiamo e scattiamo” provò a chiudere lui.
“Porti le foto alla tua nuova ragazza?” azzardai la domanda nel tentativo di avere un dialogo più civile e costruttivo.
“Non sono affari tuoi cosa porto alla mia ragazza…E mi perdoni, vero, se questa volta non te la presenterò?” mi disse passando da un tono arcigno ad uno più pacato e quasi ironico.
“Adesso sei tu che hai fatto una battuta…”.
“No… non era battuta, io davvero non te la presenterò”.

La conversazione ormai era avviata e, in poco tempo, arrivammo a parlare di cinema (il nostro argomento preferito): io sapevo che non mi avrebbe mai perdonato, che forse non saremmo mai più stati amici come lo eravamo una volta, ma quella conversazione così spontanea e, per la prima volta da molto tempo, scevra da qualsiasi recriminazione sul passato, mi faceva sentire bene.
Ci stavamo per fermare in una radura, dove poter scattare delle foto, quando vidi una scena che sembrava uscita da un incubo mal montato: un uomo grande e grosso stava minacciando un ragazzino con una frusta.
Scesi dalla macchina, nonostante il consiglio di Eugenio di non intromettermi, e detti un calcio nel posteriore di quella specie di schiavista. Questi si girò e mi fece cadere a terra violentemente con un solo schiocco della sua frusta alla Indiana Jones. Eugenio scese rapidamente dalla macchina, saltò addosso al tipo ma io, con gli occhi offuscati da qualche rivolo di sangue, vedevo poco e nulla della lotta che ne era scaturita. Mi accorsi però del rumore tipico di un collo che si spezza, simile a quello di un ramo calpestato con disprezzo, e vidi il corpo del mio amico cadere a terra esangue e senza vita. Cercai di rialzarmi, ma il colpo che avevo ricevuto era stato forte, e ricaddi sulle ginocchia e poi, nuovamente, a faccia in terra. L’omaccione tirò fuori dalla tasca una piccola pistola che potremmo definire ‘da viaggio’ e me la puntò alla tempia. In quel momento non mi importava della fine certa che stava per raggiungermi, ero anzi contento di aver vissuto quell’ultima avventura con il mio migliore amico, divenuto il mio miglior nemico e, infine, l’ultima persona dalla quale mi sarei aspettato di essere difeso, l’ultimo degli alleati.
Oltre a questi pensieri, che da lì in poi sarebbero stati eterni, il resto fu un attimo: la sensazione del freddo della canna puntata contro la fronte, il rumore del cane che si abbassava, il grilletto e infine il suono rimbombante e gelido dello sparo.

E qui mi svegliai: avevo sognato tutto e tutto nella notte del giorno in cui avevo incontrato il mio vecchio allenatore. Tutti quei discorsi sui Sud del mondo, su Francesca ed Eugenio, l’imminente capodanno, mi avevano stimolato una lunga avventura vissuta fantasiosamente nel mio inconscio.
Oggi sono felice di aver fatto quel sogno perché, seppure irrealmente, ho potuto salutare il mio vecchio amico con una risata, così come volevo, con discorsi spensierati e con un sacrificio di amicizia che, chissà, se fossimo andati realmente in Venezuela e fossero successe quelle cose, ci sarebbe stato lo stesso.
Ora che ho finito di consegnare ai posteri questa parte della mia vita (che sta a voi decidere se sia reale o meno, sogno compreso) ho voglia di vedere un film, qualcosa di carino, una commedia. Ecco, mi vedrò ‘Un amore sotto l’albero”.
E’ solo che…Solo che non riesco a trovarlo.
Poi, all’improvviso, mi ricordo dove l’ho lasciato e decido che può tranquillamente rimanere là. Non ho voglia di tornare a riprenderlo.