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Giustizia all’italiana: la riforma in discussione al Parlamento stravolge la Costituzione e dimentica i veri problemi

di Francesco Maselli

Siamo dunque arrivati alla riforma epocale della giustizia. Per Berlusconi è la madre di tutte le battaglie: i difficili (per usare un eufemismo) rapporti tra il Premier e il potere giurisdizionale sono noti a tutti e a quanto pare siamo arrivati alla stretta finale. Ci sono tre considerazioni da fare. La prima è di natura politica: il nostro paese è economicamente, oltre che socialmente, assolutamente fermo. Il debito pubblico è arrivato al 119%, la crescita supera di poco il punto percentuale, la disoccupazione giovanile è intorno al 30%. In una situazione del genere parlare di ciò che serve realmente al paese diventa incredibilmente scomodo, anche perché se non si risolvono i due grandi problemi storici dell’economia italiana (corruzione ed evasione fiscale) dalla crisi non ne usciremo mai. Lungi da Berlusconi arrivare a danneggiare il blocco sociale che l’ha sempre sostenuto e di cui anzi è diretta espressione, il premier ha riportato l’agone politico sul terreno a lui più congeniale: quello della giustizia. E lo ha fatto in grande stile: alle opposizioni che si aspettavano l’ennesimo lodo o la norma sul processo breve, ha consegnato una vera riforma costituzionale, articolata, di fronte alla quale l’antiberlusconismo perde in partenza, ammesso che sia mai stato una strategia vincente.
Questo ci porta alla seconda considerazione, che è invece di natura tecnica: il giusto processo berlusconiano prevede uno stravolgimento assoluto del nostro sistema di check and balances. Diverse le novità da segnalare. Viene introdotta l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione: in poche parole ci si fida del giudice solo quando assolve, è previsto che sbagli solo quando condanna.
L’obbligatorietà dell’azione penale non sarà più assoluta ma regolata dalla legge, con la logica subordinazione del PM all’esecutivo,c ui spetterà regolare con legge ogni anno i reati sui quali è prioritario indagare. Già solo con questi due cambiamenti risulta evidente la volontà di imbrigliare e depotenziare la magistratura requirente.
Ma non è finita qua. Il disegno di legge costituzionale prevede la tanto richiesta separazione delle carriere (adesso i magistrati si differenziano solo per funzioni) e dunque istituisce due CSM distinti e separati, entrambi preseduti dal presidente della Repubblica e composti per metà da membri togati e per metà da membri eletti in seduta comune dal Parlamento(adesso il CSM è composto per un terzo da membri laici e per due terzi da membri togati). Ai nuovi CSM è precluso l’esercizio dell’azione disciplinare che invece è affidata ad una corte di disciplina, eletta con gli stessi criteri dei nuovi CSM. La tradizionale configurazione del CSM come organo di autogoverno del potere giurisdizionale ne esce assolutamente ridimensionata. La riforma prevede inoltre la responsabilità diretta dei magistrati, mentre ora risponde lo stato tranne che il magistrato agisca con dolo o colpa grave, così come accade per gli insegnanti. La responsabilità del magistrato così com’è configurata adesso sussiste poiché egli agisce per conto dello stato e lo rappresenta, non persegue interessi personali. La nuova norma invece mette a repentaglio la sua indipendenza, poiché chiunque lo può citare in giudizio. Si è mai visto un parlamentare rispondere civilmente per aver presentato un ddl divenuto legge e dichiarato incostituzionale?
Trattandosi di un disegno di legge costituzionale, il testo dovrà essere approvato con la procedura aggravata prevista dall’art. 138 Cost., ovvero doppia lettura da parte di entrambi i rami del Parlamento ed eventuale referendum confermativo nel caso in cui in seconda lettura il testo non passi con la maggioranza qualificata dei due terzi.
La terza considerazione è invece di natura storica. Con questo ordinamento giudiziario la magistratura ha sconfitto il terrorismo negli anni 70-80 ed ha inferto dei durissimi colpi alla criminalità organizzata, come nel maxiprocesso di Palermo e nel più recente processo al clan dei Casalesi culminato nella sentenza “Spartacus”. Con questo ordinamento si sono formati grandissimi magistrati che hanno contribuito ad accrescere il senso di legalità nel nostro paese: Giovanni Falcone, Emilio Alessandrini, Paolo Borsellino, Antonino Caponnetto, Giancarlo Caselli, Antonio Ingroia, Raffaele Cantone. Con questo ordinamento può finire davanti al giudice l’ultimo borseggiatore come il Presidente del Consiglio. L’intento del governo è dare nuove risorse alla magistratura? Viene fatto uno sforzo per ridurre il tempo infinito dei processi? No,non è questo l’intento. L’intento primo è quello di riservare maggiori garanzie all’imputato. E non è già abbastanza garantito l’imputato, che deve passare tre gradi di giudizio per essere condannato definitivamente e possiede un notevole numero di strumenti per difendersi, certo nel processo e non dal processo? C’è qualche accenno alla disastrosa situazione carceraria? Viene sottolineato che in carcere ci finiscono solo tossicodipendenti o immigrati (grazie alle leggi Fini-Bossi e Fini-Giovanardi)? Assolutamente no. Anzi, nel progetto di legge attualmente in discussione in parlamento (che non il ddl costituzionale) si parla addirittura di “premiare gli incensurati”, testuali parole di Maurizio Paniz, garantista a corrente alternata.
Con questo non sto dicendo che non ci sia bisogno di una riforma della giustizia, così come c’è bisogno di una riforma della scuola, dell’università,del sistema fiscale. L’attività del legislatore dovrebbe però tendere al miglioramento del servizio pubblico e non alla punizione dei magistrati, rei di aprire indagini su chiunque, senza badare al sesso, alla razza, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche ed alle condizioni personali e sociali.
La Costituzione è la legge fondamentale del nostro paese, modificarne una parte a colpi di maggioranza come peraltro fece il centro-sinistra nel 2001 (riforma del titolo V), vuol dire allontanarsi dallo spirito che guidò i nostri padri costituenti. Ma a volte il buon senso prevale. E non è mai troppo tardi per fare un passo indietro.