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L’impegno di ricordare, il dovere di fare: cosa resta della “Giornata della memoria delle vittime delle mafie”

di Ilaria Giugni

Caro direttore,
ti scrivo di ritorno dalla “XVI Giornata della memoria delle vittime delle mafie”. Quest’anno il teatro dell’appuntamento annuale di Libera è stato Potenza, città della luce, che purtroppo però ha accolto gli intervenuti con nubi grigie cariche di pioggia. Oggi, per me, è stata una giornata illuminante: eravamo ottantamila, immobili sotto un’acquerugiola incessante, stretti in un abbraccio lunghissimo ai parenti delle vittime e a Don Ciotti.
Oramai sono tre anni che la manifestazione di Libera è per me un appuntamento immancabile: Casal di Principe, Milano e Potenza sono tappe fondamentali per la mia formazione, ricordi che porto gelosamente nel cuore, nella consapevolezza di quanto contino per la persona che sono oggi.
Sono i minuti di cordoglio ad ascoltare i nomi delle vittime di tutte le mafie. Sono le parole di Don Ciotti, diverse e giuste ugualmente ogni anno. Sono l’arcobaleno delle bandiere di Libera, sono l’impegno di tutti i suoi volontari. Sono il minuto di silenzio in cui senti solo la pioggia, perché sai che potrebbe venire giù il mondo per qualsiasi ragione, ma per nessuna avrà senso lamentarsi, fiatare per il maltempo: è una giornata in cui tutto è superfluo. Io sono la voce di Ingroia che scandisce i nomi delle vittime innocenti, sono un momento di condivisione con gli amici più cari. Sono le parole di Ilya Politkovskaja e insieme la consapevolezza che la mafia non sia un problema locale.
Caro direttore,
so che sono tutto questo, so che sono fatta di questo, ma la giornata di oggi mi riporta alla mente anche che questo non basta. Mi ricorda che vorrei essere l’ironia di Peppino Impastato e insieme il sorriso paterno di Giovanni Falcone. La battaglia di Federico Del Prete, la freschezza di Giancarlo Siani, il coraggio di Domenico Noviello. Vorrei essere le inchieste di Anna Politovskaja e i sogni disillusi degli africani di Castelvolturno.
Vorrei essere la forza di ciascuno di questi personaggi, vorrei essere questo Paese che si riprende la memoria dei suoi eroi ben più di una volta all’anno.

Cara Ilaria,
quello che la “Giornata della memoria delle vittime delle mafie” riesce a rappresentare, da sedici anni a questa parte, è difficile da spiegare ma sicuramente facile da sentire, se si è presenti fisicamente. Il cammino dell’antimafia, che si muove nei lunghi cortei di Libera, da Milano a Casal di Principe, da Nord a Sud, è da sempre pervaso da un’emozione, una partecipazione e una passione sensibile. Se esiste una manifestazione in grado di avvicinare tutti, quella è la “Giornata della memoria delle vittime delle mafie”. Sì, perché la memoria e il ricordo scuotono tutti. E in particolar modo se si parla di violenze di mafie. Riconosco che ottantamila volti sono una briciola rispetto alla totalità, eppure il senso di cui la manifestazione è impregnata è talmente unanime, che offre possente sentimento universale. E si sa: quando si percepisce un’universalità d’ideale attorno a sé, la speranza e la forza sembrano non poterti abbandonare, la resistenza e la lotta alle ingiustizie appaiono gesti semplici, istintivi.
Eppure dici bene. Siamo il paese che non si ricorda di ricordare. Siamo il paese della memoria a “orologeria”: commemoriamo ma non onoriamo il ricordo con l’azione. Definiamo “eroe” ogni nome della lista delle vittime delle mafie perché la loro vita ci sembra lontana, impossibile, impensabile. Ma non è così. Non si possono continuare a considerare straordinarie delle esistenze, invece, naturali. Per onorare con rispetto il ricordo di uomini come Falcone, Siani, Impastato, Noviello, basterebbe vivere la nostra vita fino in fondo, compiendo al meglio il nostro lavoro, ciò che sappiamo fare. Mauro De Mauro non era un “giornalista eroe”, era un “bravo giornalista”. Paolo Borsellino non era un “magistrato eroe”, era un “bravo magistrato”.
Don Luigi Ciotti lo ripete ogni anno, ma lo disse in più di un’occasione lo stesso Giovanni Falcone: “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana”. Lo dobbiamo fare. Per tutti. Per noi.
Roberto P. Ormanni