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Juventus e Bologna, il capolavoro al contrario del calcio italiano

di Fabrizio Romano

E’ sabato sera, a Torino fa freddo. Va in scena Juventus-Bologna, Marco Di Vaio – guarda caso un ex – mette in castigo la banda Delneri con una doppietta che fa impazzire l’entusiasmo sotto le Due Torri e getta ombre pesantissime sotto la Mole. In novanta semplici minuti c’è la sintesi di un capolavoro… al contrario. Il progetto Juventus – iniziato in estate nel segno del ritorno degli Agnelli – dopo diversi segnali di cedimento si sgretola contro una realtà umile e coraggiosa, in sintesi perfetta che è il Bologna di Malesani, una catena di montaggio impeccabile che sta raggiungendo quel paradiso chiamato salvezza nonostante le vicissitudini quasi omeriche durate fino a dicembre, un obiettivo che in tanti dicevano essere irraggiungibile e che ormai è praticamente raggiunto. La rincorsa all’obiettivo la ha invece clamorosamente fallita la Juventus, partita con ambizioni colossali e finita nella melma di una mediocrità triste, quasi provinciale.

Ma riavvolgiamo entrambi i nastri, quelli a tinte bianconere e quelli a tinte rossoblù: dopo la fallimentare gestione Ferrara con Zaccheroni traghettatore, la Juventus decide in estate di ripartire da zero, iniziando dalla società. Arriva Beppe Marotta in qualità di direttore generale e si porta dietro il fidato Fabio Paratici, con l’uomo del miracolo Sampdoria, Gigi Delneri, per la panchina bianconera. Un processo di rinnovamento accolto positivamente dalla gran parte della tifoseria juventina, che evidentemente ha scordato i tempi della Juventus vera – quella dell’Avvocato – che di fronte ad una tale sciagura avrebbe urlato ad un’involuzione. Niente affatto, la piazza approva ed esalta gli acquisti estivi, praticamente tutti con la sconveniente formula del prestito con diritto di riscatto ‘obbligatorio’. Sconveniente semplicemente perché quando investi una prima cifra importante su un giocatore, promettendo di investirne il resto a fine stagione, in caso di volontà di liberarti del ragazzo che per qualsiasi motivo potrebbe non essersi inserito, hai perso soldi per un progetto di crescita del giocatore con la tua società abbandonato, pagando così stipendio e soldi al club che ha venduto l’elemento. Arrivano Storari per sostituire Buffon fino al rientro, Bonucci – pagato 16 milioni di euro tra cash e la contropartita Almiron, uno in più di Sneijder all’Inter l’anno prima – Grosso, Motta, Rinaudo, Armand Traorè – in quattro non meritevoli neanche di un commento – Jorge Martinez, pagato 14 milioni dal Catania e assolutamente inadatto al 4-4-2 di matrice delneriana, Simone Pepe, onesto gregario ma niente di più, Fabio Quagliarella, un innesto questo sicuramente interessante, Alberto Aquilani, scommessa voluta da Delneri, e Milos Krasic, esaltato biondino che arriva dalla Russia come il nuovo Messia.

All’inizio sembra andare tutto alla perfezione, Delneri addirittura dice di non volersi nascondere quando si parla di scudetto, poi il crollo. Perché? In realtà, a Torino, c’è un progetto che non gira. La società compra giocatori poco funzionali al modulo, li paga troppo e non segue una linea di pensiero precisa. A gennaio si prova a tamponare il k.o. di Quagliarella con Luca Toni e Alessandro Matri, poi la vittoria contro l’Inter, l’esaltazione massima – da provinciale! – e il nuovo crollo, fino ai giorni nostri. Il Bologna vince a Torino, 0-2, non accadeva da trentuno anni. E’ il decadere di un progetto appena nato, costruito su basi assolutamente non solide, sulla fretta di rinforzare ma senza un reale criterio. Perché mandare in prestito Amauri, ora devastante al Parma, e prendere Toni? Perché in estate investire su giocatori mediocri come Rinaudo, Motta, Grosso o Traorè e lasciare il tecnico senza un terzino che sia degno di questo nome quando si poteva fare molto meglio? Purtroppo, per far decollare un club che ha un’idea di innovazione serve intelligenza e soprattutto tempo, pazienza. Quella pazienza che in Italia non esiste. Invece di sette tasselli ‘buoni’, sarebbe meglio inserire tre giocatori di alto livello all’anno, così si può parlare veramente di un progetto a lunga scadenza, e non di questa farsa imbastita da Marotta e soci. Perché attenzione, questa non è la vera Juventus, e molti tifosi lo hanno capito.

Si è arrivati all’esaltare Krasic come se a vestire quella maglia bianconera fosse Platini. Eppure, nessuno che ha captato una riflessione fatta in silenzio da pochi, come chi scrive: non vi siete chiesti come mai il ragazzo sia decollato solo all’inizio, per poi appassirsi da gennaio in poi? Tutta questione di condizione fisica. Krasic è arrivato in Italia ‘pompatissimo’ dalla preparazione anticipata che si fa in Russia, ne ha beneficiato ed ora che è finita la benzina si è trasformato nell’ombra di se stesso. I veri tifosi juventini non hanno creduto alle favole scudetto, e non hanno esultato come se fosse stata vinta la Champions League per una fortunosa vittoria contro l’Inter (Eto’o ha fatto di tutto per non segnare…). Quell’atteggiamento, nella Juventus di una volta, non sarebbe mai stato tollerato. E’ lì che c’è il male della mentalità bianconera attuale, che si abbina con quello che troviamo dietro la scrivania e che determina la crisi: gli stimoli arrivano solo contro le grandi, poi contro Lecce e Bologna c’è presunzione, nessuna voglia di far legna ma solo di ballare il tango in mezzo al campo. Signorine, questi giocatori qui, neanche l’ombra dei Furino e dei Gentile.

Il nastro del Bologna è invece molto più piacevole da riavvolgere. In estate c’è in fantoccio Sergio Porcedda a promettere sogni in realtà di cartone: l’imprenditore sardo non aveva una lira, ha preso in giro tutti, se sotto i portici dovessero ritrovarselo, oggi, lo maciullerebbero. Eppure si è portata avanti una campagna acquisti povera, fatta però con intelligenza: giovani in prestito come Ekdal (cara Juventus, meglio di tanti altri…), i migliori trattenuti a Bologna, come Di Vaio o Portanova, qualche scoperta dall’estero, Diego Perez e Gaston Ramirez su tutti, e una valigia di umiltà che non finisce più. Il buon (si fa per dire) Porcedda non paga gli stipendi, in molti casi i giocatori si rifiuterebbero di scendere in campo, non quelli rossoblù: unione di intenti, serie di partite positive, poi la penalizzazione e il rischio di fallimento davvero vicino. C’è paura, ma il Bologna non si arrende, continua a lottare e prendere punti preziosi. Arriverà Massimo Zanetti con la sua cordata a salvare il club, si dimetterà poco dopo: l’odissea felsinea sembra non finire mai, ma il vicepresidente si incarica di tutto insieme alla figura istituzionale Gianni Morandi e il Bologna – è il caso di dirlo – torna a cantare, i giocatori tornano a vedere stipendi, la macchina rossoblù continua a girare. La vittoria di Torino è il simbolo dell’umiltà, dell’intelligenza di chi sa fare mercato (il d.s. Carmine Longo è assolutamente valido quanto Beppe Marotta, se non di più), del cuore di una squadra vera, fatta di gente seria e non presuntuosa, un vero e proprio capolavoro.
In casa Juventus c’è il disastro di un progetto individuabile come finto, e l’illusione dopo una banale vittoria che qualcosa possa ancora succedere: rialzati, Juve, perché l’Avvocato osserva ancora. E tu Bologna, non cadere, perché queste favole fanno bene al calcio. Quello vero, non quello dei presuntuosi…