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Quando la fotografia non ha bisogno di didascalia. L’arte in uno scatto

di Francesco Maselli

“Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento” (Henri Cartier-Bresson)
Quando nacque, la fotografia fu accusata di essere una fredda e meccanica rappresentazione della realtà, capace certo di essere uno specchio fedele della vita, ma incapace di trasmettere emozioni. Paul Gauguin la liquidò con poche, semplici parole: “Sono entrate le macchine, l’arte è uscita…Sono lontano dal pensare che la fotografia possa esserci utile.”
Ebbene, si sbagliava. La fotografia (insieme con il cinema) è forse l’ultima delle arti, l’ultima modalità con la quale l’uomo è capace di esternare il suo sentire. Non è solo immagine, è molto di più. In un certo senso, è la vittoria dell’uomo sul tempo. Fissarne un frammento in un’immagine ci dà la possibilità di fermare il tempo e osservare quello che è avvenuto in un certo qui ed ora.
Probabilmente Gauguin, come molti altri del suo tempo, era restio a considerare la fotografia come una forma d’arte perché vedeva nell’uso della macchina un momento di spersonalizzazione della fase creativa. In realtà, la macchina fotografica non è altro che il pennello, lo scalpello, lo strumento del quale l’artista si serve per far conoscere al mondo ciò che in quel momento,in quel preciso istante, ha visto. Parafrasando Neil Leifer: “La fotografia non mostra la realtà, mostra l’idea che se ne ha”. Il fotografo può riuscire a far trasparire la personalità, la cultura, la passione, la pietà che si cela dietro ad uno scatto. Può addirittura far emozionare chi la osserverà, anche perché come tutte le forme d’arte è questo il suo fine ultimo. Si scatta una foto per sé e per gli altri. Naturalmente non tutte le foto sono arte, come giustamente afferma Letizia Battaglia: “Una foto deve avere dietro a sé un pensiero, che può essere anche un pensiero effimero, ma deve pur sempre possederlo, per diventare arte”. Altrimenti chiunque sarebbe artista. Ma questo va da sé.

Mi è capitato spesso di osservare per diversi minuti un’immagine e chiedermi cosa stava provando il fotografo mentre premeva il tasto per scattare. Perché ha deciso di fissare nell’eternità proprio quel momento e non un altro. Se magari la foto gli è piaciuta come è piaciuta a me, oppure l’ha considerata uno scatto mediocre.
E’anche vero che non esiste nulla di più soggettivo dell’arte, con le dovute eccezioni: insomma, chi può affermare impunemente di non gradire la Cappella Sistina, il primo movimento della Nona sinfonia di Beethoven o la Gioconda? Ma questo rientra nella categoria del bello, tema di grandissima rilevanza filosofica, che non mi sento in grado di affrontare qui ed ora.
Si diceva che il gradimento di un’opera d’arte fosse un fatto quasi esclusivamente soggettivo. La foto è arte. Magari è anche pleonastico ribadirlo, ma non fa eccezione. La stessa identica fotografia potrebbe suscitare emozioni diametralmente opposte in persone diverse, potrebbe piacere ad uno e infastidire un altro. Attualmente è la forma d’arte che riesco ad apprezzare di più, forse perché non ho mai provato ad improvvisarmi fotografo. Mi ha sempre incuriosito la fase precedente allo scatto, ossia la scelta del soggetto e del momento adatto. Ma ciò non basta: ci sono le modifiche del colore in studio. Il lavoro minuzioso che compie il fotografo è l’altra faccia della medaglia dello scatto istantaneo ed è forse proprio questa la peculiarità della fotografia:la compresenza dell’immediato, dell’istinto, da una parte e della razionalità, del lavoro che c’è alle spalle, dall’altra.
Cosa vuol dire la fotografia l’ha sintetizzato bene John Hedgecoe: “La fotografia è probabilmente fra tutte le forme d’arte la più accessibile e la più gratificante. Può registrare volti o avvenimenti oppure narrare una storia. Può sorprendere, divertire ed educare. Può cogliere, e comunicare, emozioni e documentare qualsiasi dettaglio con rapidità e precisione”.
Forse è per proprio per questo che la fotografia suscita tante emozioni persino in un profano.