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Sapere d’amore

di Gianmarco Botti

Filosofia, si sa, è parola di origine greca e significa letteralmente “amore per il sapere”. Coniata da Pitagora, voleva indicare la distanza fra la divinità, che sola possiede la sapienza, e l’uomo, il quale può amarla e tendere ad essa. Ma voglio proporre, e non sono il primo, una diversa traduzione che forse dice qualcosa di più su quel che è realmente la filosofia, rispondendo alle domande che a questo punto potrebbero porsi (di che genere di amore stiamo parlando? A quale tipo di sapere è rivolto?). Piuttosto che di “amore per il sapere” parleremo allora di un “sapere d’amore”. Ad alcuni sembrerà soltanto un gioco di parole, ad altri, soprattutto chi conosce la filosofia come quell’arido sistema nozionistico che si ritrova in alcuni manuali, un’assurdità: cosa mai c’entra con l’amore? Il pensiero con il sentimento? La ragione con la passione?
Evidentemente qualche rapporto deve esserci. Il primo ad accorgersene fu Platone, facendo di Eros il protagonista di uno dei suoi più celebri dialoghi, il “Simposio”. Proprio qui troviamo la prima identificazione dell’amore con la filosofia, attraverso l’allegoria che lo rappresenta come un demone, figlio di Abbondanza e Povertà: esso abbonda infatti nel desiderio, è desiderio, ma non c’è desiderio se non di qualcosa di cui si è poveri, qualcosa che manca. Non è forse questo l’autentico volto di quella sapienza che è propria di chi, alla maniera socratica, sa di non sapere? Un sapere che prende le mosse dalla propria ignoranza per continuare la sua ricerca, tendendo verso ciò che sa di non poter mai raggiungere. Una concezione della filosofia ancora attuale, riproposta anche da Massimo Donà dell’università San Raffaele di Milano nel suo “Filosofia. Un’avventura senza fine”. In un capitolo dall’evocativo titolo “Filosofia come amore”, egli riprende l’idea platonica per cui si ama ciò che non si possiede, proprio perché non è in nostro possesso. Anche della persona o della cosa che ormai abbiamo fatto nostra continuiamo ad amare quel che di essa ancora ci sfugge, che non conosciamo, il lato nascosto. Ecco perché “l’amante non può augurarsi di esaurire la propria conoscenza dell’amato”. Allo stesso modo la filosofia non può ambire ad acquisire il sapere nella sua totalità, quasi si trattasse di una realtà finita. Essa è ricerca proprio nel senso che ci sarà sempre qualcosa da trovare ancora. È amore perché ama ciò che non può avere ma a cui non smette mai di tendere. Il sapere attrae il filosofo come il desiderio dell’oggetto amato attrae l’amante. È questo il modo in cui il Primo Motore Immobile di aristotelica memoria produce il movimento: esso “muove come ciò che è amato”, muovendo cioè l’amante pur restando fermo. L’amore, dunque, come principio sommo del cosmo. Sembra di sentire le parole della celebre canzone di Battiato: “Tutto l’universo obbedisce all’amore”.
Quando il sapere non si baserà più su un esercizio puro della ragione come nella Grecia classica, ma su itinerari mistici, quelli del Neoplatonismo e del pensiero cristiano, l’analogia amore-filosofia non verrà meno. Per Plotino, infatti, la meta della ricerca si raggiunge attraverso l’“estasi” che è vera e propria esplosione d’amore, riscossa dell’anima che si volge verso l’alto. E se nel Cristianesimo Eros come attrazione verso qualcosa di cui si manca passa in secondo piano, al centro viene posta Agàpe, sovrabbondanza d’amore gratuito di Dio verso l’uomo che si fa dono e al quale egli deve corrispondere obbedendo unicamente al precetto di Agostino: “ama e fa’ ciò che vuoi”.
Vale la pena di concludere con una testimonianza che consacra una volta per tutte questa unione di filosofia e amore nell’esperienza, celebre per la sua tragicità e struggente autenticità, di Abelardo ed Eloisa: “Con la scusa di studiare avevamo tutto il tempo per amarci e inoltre lo studio ci permetteva di godere quella solitudine che l’amore sempre richiede. Aprivamo i libri, ma si parlava più d’amore che di filosofia”.