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“Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, storia americana di violenza e umanità

locandinadi Marco Chiappetta

TRAMA: Quando Mildred Hayes (Frances McDormand) fa affiggere fuori la sua città, Ebbing (Missouri), tre manifesti polemici riguardo lo stupro e l’assassinio irrisolto della figlia Angela e la negligenza nelle indagini del capo della polizia Bill Willoughby (Woody Harrelson), malato di cancro e in fin di vita, la reazione di tutta la comunità è indignata dal gesto, specie l’agente di polizia Jason Dixon (Sam Rockwell), violento, razzista e omofobo: è solo l’inizio di una feroce battaglia tra la donna e la polizia, con risvolti imprevedibili e inimmaginabili.

GIUDIZIO: Venato di un umorismo nero, talvolta surreale e paradossale, discordante e disturbante, il 3° film dell’inglese Martin McDonagh (“In Bruges”), anche sceneggiatore, trapiantato in quell’America di provincia rude cruda e violenta, è una meravigliosa, illuminante e struggente parabola sul male, sull’odio e sulla pietà, popolata di personaggi complessi, umanissimi, capaci di provare – anche in un solo gesto, in un solo momento – una gamma di sensazioni e sfumature e contraddizioni che li rendono veri e toccanti. Sotto la scorza dura e cinica di un’America incendiaria, psicopatica, crudele e violenta (anche verbalmente), spuntano lampi di un’umanità aperta alla redenzione, al perdono, alla comprensione, alla solidarietà, all’amore. Calibrando perfettamente l’ironia, il pathos e la suspense, tanto da rifuggire qualsiasi definizione di genere, è un film sorprendente e straordinario nella caratterizzazione del suo coro di personaggi, disegnati con precisione e un’empatia lucida, priva di retorica, sconvolgente. Non è una favola, ed anzi non cede di un passo davanti all’assurda violenza del mondo, ma offre un messaggio di pace, amore e giustizia universale potentissimo, viepiù perché insospettabile in una terra brulla, ostile e fertile all’odio come quella di certa America. Impossibile non immedesimarsi nella lucida rabbia e nel dolore di una Frances Mc Dormand glaciale e straziante, nella tenerezza e nell’umanità del solito Woody Harrelson, e soprattutto nel percorso di redenzione dello psicopatico, ritardato, brutale Sam Rockwell, geniale nella mimica del corpo e della faccia, un personaggio di rara verità e fulcro morale della storia. A tutto questo fa da contrappunto dolce e poetico la musica di Carter Burwell, compositore di fiducia dei fratelli Coen, gemelli lontani di questo stesso universo tragicomico e assurdo.

VOTO: 4/5