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Nuovo FFO, l’Università che vuole essere azienda

universita-fonfo-di-finanziamento-ordinariodi Mattia Papa

Commentando lo schema di decreto per la ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) agli atenei statali per l’anno 2017, la ministra Fedeli ha dichiarato un effettivo aumento dello 0,9% sul totale rispetto alla scorsa annualità. Prevede quindi una valutazione dinamica sulle politiche di reclutamento degli atenei stessi. Eppure, come ha evidenziato il CUN, ci sono quasi 50 milioni di euro di tagli ai fondi direttamente gestiti dagli atenei statali (quota base, premiale, perequativo e programmazione triennale).

Gli studenti di Link Coordinamento Universitario, nel loro documento di analisi e commento dello schema, rilevano una perdita di 47 milioni e 687 mila euro rispetto all’anno scorso, con un aumento della quota premiale sul totale a scapito della quota storica (ridotta di 88 milioni di euro), e una penalizzazione del fondo perequativo, che perde 50 milioni, e una riduzione della clausola di salvaguardia da 2,25 a 2,5. In poche parole, insieme ai tagli del fondo perequativo, gli atenei potranno perdere più soldi rispetto all’anno precedente (rendendo sempre meno equa la distribuzione dei fondi), in particolare gli atenei del Mezzogiorno.

Gli studenti di Link dunque si chiedono: “dove sono finiti quei 45 milioni di euro? E perché nonostante tutto l’FFO totale è aumentato?”. Alla voce ‘altri interventi’, voce dove sono contenute, insieme ad altre aggiunte sparse, i soldi che gli atenei ricevono per il loro funzionamento, e la cui percentuale sale dal 6,5% all’8%. Scrivono gli studenti che “sono presenti due principali novità: i 55milioni di euro di copertura dei mancati introiti dovuti all’introduzione della No Tax Area (quindi non fondi aggiuntivi per gli atenei)” e “45milioni di euro del «Fondo per il finanziamento delle attività base di ricerca», trovata dell’ANVUR dello scorso anno per assegnare 3000 euro ai ricercatori e professori che ne fanno richiesta, la quale corrisponde perfettamente con il taglio effettuato sulle voci principali”.

“Analizzando i dati” secondo gli studenti del Coordinamento universitario, “a far discutere però sono soprattutto gli indicatori utilizzati per la quota premiale. Errare è umano, perseverare è diabolico si direbbe, per diversi motivi”. Infatti, gli indicatori su cui si basa la “premialità” si riferiscono alla VQR 2011-2014, e a nessun dato altro degli anni successivi. Oltre a ciò, i criteri per la valorizzazione della “autonomia responsabile” degli atenei si inseriscono in un progetto di ultra-competizione tra strutture che non provocherà miglioramenti, ma solo guerra tra poveri (nel migliore dei casi). Inoltre sarà possibile per un ateneo essere valutato solo per la ricerca, facendo così sparire la didattica dal computo dei finanziamenti e quindi delle priorità degli Atenei.

Si deve considerare, oltretutto che “la distribuzione – denunciano gli studenti – delle nuove assunzioni tra Atenei (attraverso la distribuzione dei Punti Organico) ha rimpiazzato mediamente solo il 80% dei pensionamenti, andando a ridurre ulteriormente il personale universitario, già ridotto del 20% dal 2010 ad oggi. La distribuzione di questi Punti Organico avviene seguendo indicatori di qualità dei bilanci, che penalizzano ancora una volta gli Atenei più in difficoltà e collocati in contesti socio-economici dove gli studenti non possono permettersi tasse troppo alte o la ricerca scientifica non ottiene finanziamenti privati. Si tratta degli stessi atenei che hanno visto ridurre maggiormente gli iscritti e i finanziamenti negli ultimi anni. Così, ci troviamo davanti una situazione a dir poco desolante: infatti, mentre al Nord vengono rimpiazzati l’87% dei pensionamenti, al centro la percentuale si abbassa al 77% e al Sud si arriva al 67% con gli Atenei di Lecce e Cassino fermi al 50%”.

Risulta evidente che, nonostante alcuni passi in avanti, anche quest’anno un’istruzione equa e che sappia assolvere al suo compito di formare il Paese, non è il progetto del Governo. Invece di investire affinché si invertano le condizioni di stallo e di rovina, soprattutto del Mezzogiorno, ponendo l’Università – strumento formativo e luogo di intelligenza collettiva – come interlocutore fondamentale della città e del Paese stesso, l’Università continua ad essere un luogo trasformato in azienda di fatto, dove l’indicatore di produttività incide sulle possibilità di reclutamento di nuove intelligenze, quindi di aggiornamento e attivismo intellettuale costante nonché di crescita delle iscrizioni per l’attrattività degli atenei. Il che vuol dire per molti studenti del Mezzogiorno non partire e dare, allo stesso Mezzogiorno, una classe dirigente futura che sappia e voglia cambiare realmente le cose. Una formazione che ingombri il campo del cambiamento, contro l’Università-azienda dalle misere e mortificanti percentuali.