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“Miss Peregrine”: un Tim Burton minore, vicino agli occhi, lontano dal cuore

53092di Marco Chiappetta

TRAMA: Per elaborare il lutto per la misteriosa morte dell’adorato nonno Abe (Terence Stamp), l’adolescente Jake (Asa Butterfield) si reca col padre (Chris O’Dowd) a Cairnholm, Galles, sulle tracce della sua leggendaria infanzia passata a sconfiggere i mostri mentre imperversava la Seconda Guerra Mondiale. Jake si ritrova in un luogo magico, la casa di Miss Peregrine (Eva Green) per bambini speciali, un orfanotrofio per i diversi dove ogni bambino ha un potere speciale per il quale la società lo ha emarginato. Grazie allo speciale potere di Miss Peregrine stessa, la casa è sospesa nel tempo, costringendo i suoi abitanti a vivere in eterno lo stesso giorno, il 3 settembre 1943, prima appunto che un aereo tedesco la distrugga. L’armonia di questo giorno eterno è minacciata dai Vacui, mostri invisibili capitanati dal crudele scienziato Barron (Samuel L. Jackson) che si nutrono dei loro occhi.
GIUDIZIO: Immaginifico e visionario, il film di Tim Burton, sfacciatamente minore nella sua filmografia costellata di capolavori, è un’esperienza per gli occhi, ricca di immagini e trovate ora magiche, ora oniriche, ora animate dal suo tipico humour macabro. Uno straordinario dispendio di virtuosismi visivi, idee surreali ed effetti speciali soddisfatto però solo parzialmente da una storia altamente complessa e confusa, immersa nei territori puri del fantasy e in un universo di fonte letteraria (il bestseller di Ransom Riggs “La casa per bambini speciali di Miss Peregrine” da cui è tratto) chiaramente impersonale e forzatamente ridotta, su cui l’impronta burtoniana può far qualcosa ma non tutto. Il tema, articolato ma affascinante, del viaggio per mondi e tempi paralleli (come in “Alice nel paese delle meraviglie”), il paradosso drammatico di un giorno eterno e di un’eterna giovinezza (il rapporto tra Jake ed Emma ricorda all’inverso quello tra Peter Pan e Wendy) e l’eredità di una vita fantastica sognata e raccontata (da nonno a nipote, come in “Big Fish” era da padre in figlio) sono le splendide premesse del film, tradite ironicamente dai suoi prodigi spettacolari e da un format grande pubblico che priva il regista, nell’intricato e quasi incomprensibile atto finale, della sua autenticità. Nonostante tutto il suo talento e almeno una decina di momenti di grandissimo cinema, il film resta limitato su un piano emotivo, psicologico e narrativo, lasciando allo spettatore un piacere visivo immenso ma fine a se stesso.
VOTO: 3/5