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“Io, Daniel Blake”, parabola kafkiana di una società al collasso

locandina-verdi Marco Chiappetta

TRAMA: Newcastle – Daniel Blake (Dave Johns), sessantenne vedovo e proletario, a causa di un infarto non può più lavorare come carpentiere, ma al tempo stesso per ottenere dallo Stato il sussidio per disoccupati deve passare per un’infernale e kafkiana trafila burocratica senza fine. Nel frattempo lega un rapporto di amicizia e solidarietà con Katie (Hayley Squires), giovane madre disoccupata, anch’essa sull’orlo della disperazione e costretta a subire infinite umiliazioni.
GIUDIZIO: Palma d’oro all’ultimo festival di Cannes, il film di Ken Loach (1936) è un dramma sociale dall’impressionante impatto emotivo e perfettamente nelle sue corde, un racconto di umiliati e offesi, emarginati e ultimi di una società capitalista sfruttatrice e feroce. Attraverso l’eccezionale interpretazione sotto le righe del misconosciuto Dave Johns, cabarettista e comico apparso finora solo in tv, Loach traccia non solo la parabola kafkiana di un uomo vittima del sistema, stoico fautore fino all’ultimo della dignità umana e della solidarietà, ma anche un deprimente affresco della disumanizzante società in cui viviamo, senza valori, senza rispetto, senza considerazione dell’individuo, stracolma di paradossi e ingiustizie. Il regista inglese costruisce attorno all’atto d’accusa e alla vicenda del suo eroe una storia intima quanto mai forte e piena di sentimenti, raccontata con toni asciutti e essenziali, non di rado amaramente ironici, uno stile pulito e senza fronzoli retorici, limitando al minimo la musica e gli effetti drammatici. Ciononostante, anzi proprio per questo, tocca corde intime del cuore e dell’intelletto, generando emozioni e riflessioni morali tanto necessarie quanto dolorose.
VOTO: 3,5/5