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“Neruda”: il poema visivo sul poeta cileno, firmato Pablo Larraìn

locandinadi Marco Chiappetta

TRAMA: 1948 – Per aver apertamente attaccato il presidente cileno Gabriel Gonzalez Videla (Alfredo Castro), il poeta e senatore Pablo Neruda (Luis Gnecco), notoriamente comunista, è costretto alla fuga e alla clandestinità. Passando di casa in casa, e di città in città, con la moglie Delia (Mercedes Moràn) e uno stuolo di “compagni”, Neruda è inseguito per tutto il paese dal poliziotto Oscar Peluchonneau (Gael Garcìa Bernal), un po’ idiota un po’ duro, al tempo stesso irritato e affascinato dal grande poeta, la cui ricerca si trasforma in un’ossessione prima, in una nemesi poi.
GIUDIZIO: Più che un biopic sul leggendario poeta cileno, il sesto film di Pablo Larraìn è un poema visivo dalla narrazione rarefatta, in cui il ritratto del protagonista, mostrato non solo nella sua grandezza ma anche nella sua vanità, frivolezza, arroganza provocatoria, è messo in contrappunto con quello di un poliziotto, avulso alla poesia e ligio al dovere, che a furia di inseguirlo, cacciarlo e perseguitarlo, finirà per ammirarlo e assomigliarvi, in una nemesi completa. I toni del film, pur lirico, non sono mai troppo seri né pedanti, tutt’altro, e Larraìn evita qualsiasi retorica, benché la Storia e la politica siano qui centrali. L’incontro-scontro tra due personaggi agli antipodi, e che infatti praticamente non si trovano mai, è reso attraverso la voce narrante del personaggio di Oscar, sardonica, ironica, infine anch’essa poetica. Pur calando di ritmo e intensità, crogiolandosi nel formalismo, il film di Larraìn è un’opera tanto intelligente quanto visivamente forte. La regia è classica (taglio delle inquadrature, trasparenti per le scene in automobile, musica classica in sottofondo), in rima con l’epoca descritta, ma al tempo stesso di una modernità e un’originalità uniche: il digitale granuloso, fosco, in controluce usato dal direttore della fotografia Sergio Armstrong, è ormai la sua cifra estetica, e l’idea di ambientare una stessa conversazione in più posti (rompendo quindi l’unità di luogo) è spiazzante quanto potevano essere le tecniche anarchiche della Nouvelle Vague. In questo, Larraìn è senza dubbio uno dei più grandi innovatori e rivoluzionari del linguaggio cinematografico contemporaneo.
VOTO: 3,5/5