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Workers buyout: le fabbriche ai lavoratori

14642812_1812663345641741_478348678_ndi Gabriele Borghese

Screen Sud, Italcables, Gbm, Officine Zero, Ri-Maflow, Birrificio Messina, sono solo alcuni dei nomi delle fabbriche sparse in tutta Italia che dopo l’ultima crisi sono state rilevate dai lavoratori. Il fenomeno del workers buyout (nel gergo finanziario con buyout si indica quel processo in cui i debiti dell’azienda vengono ripagati grazie ai flussi di cassa generati successivamente) è in continua crescita, e non solo in Italia. L’operazione di recupero ridefinisce l’assetto strategico e finanziario dell’impresa. Il modello di un’economia fondata sui lavoratori e che parte dai lavoratori in prima persona si sta contrapponendo all’economia finanziaria che ha distrutto larga parte del tessuto produttivo sia in Europa che nel mondo.
I dati forniti dall’Euricse (Istituto Europeo di Ricerca sull’Impresa Cooperativa e Sociale) mostrano che una fabbrica fallita e riacquistata dai lavoratori ha una vita media di 13 anni (le fabbriche tradizionali hanno un tasso di 13,5 anni). Il tasso di sopravvivenza è dell’86 per cento, il 70 per cento delle quali piccole e medie imprese composte dai 10 ai 49 lavoratori. Il recupero delle fabbriche si sta rivelando quindi una vera e propria misura anticiclica. In molti casi non cambia solo la proprietà dell’impresa, ma anche il modello produttivo di riferimento e il settore di interesse. Ad esempio alla Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio si è passati dalla produzione di tubi per freni e frizioni di automobili al riciclo di elettrodomestici. Alle Officine Zero di Roma, dove prima si riparavano i treni notte, i lavoratori insieme a studenti e precari hanno messo in piedi attività di coworking e altre attività artigianali. Il processo di workers buyout non permette solo di salvare l’impresa, ma anche di rinnovarla e riconvertirla.

I workers buyout si caratterizzano per un ricorso alla leva, dal momento che acquisiscono il controllo di una società utilizzando il ricorso al debito, nella prospettiva che i flussi di cassa futuri attesi siano sufficienti a rimunerare e rimborsare il debito. Le risorse finanziarie vengono raccolte tramite società specializzate in questo genere di operazioni. Il ricorso alla leva può essere evitato o contenuto grazie all’intervento di intermediari specializzati, tra cui investitori istituzionali, associazioni come ad esempio Legacoop.
Il limite principale di questo meccanismo è che i lavoratori, per riuscire a stare sul mercato e fare quindi concorrenza ad altri gruppi più grandi, finiscano paradossalmente per sfruttare se stessi.
Una legge statale facilita questo tipo di processi. La legge Marcora del 1985 prevede infatti “un regime di aiuto finalizzato a promuovere la nascita e lo sviluppo di società cooperative di piccola e media dimensione”. La norma stabilisce dei finanziamenti agevolati al fine di assicurare al piano di impresa delle cooperative una adeguata ed equilibrata copertura finanziaria.
In Italia un quinto delle operazioni di workers buyout è stato portato a termine in Toscana (22%), il 15% in Emilia Romagna e a seguire in Lombardia. Una mappa del fenomeno è consultabile qui