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Rischio Brexit: cresce l’incertezza sulla permanenza britannica nell’Europa unita

Articolo #43 - Rischio Brexit, cresce l’incertezza sulla permanenza britannica nell’Europa unitadi Marco Passero

Il termine Brexit, coniato per indicare la possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, è tornato di grande attualità. Il recesso, va sottolineato, è una delle modalità attraverso cui è possibile perdere la membership di un’organizzazione internazionale. Se questo è previsto, nulla quaestio; ed è esattamente il caso dell’UE ex art. 50 TUE.

L’Unione Europea, con una serie di prove di intesa, sta cercando di andare incontro alle richieste britanniche. Il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk ha avanzato alcune proposte che verranno valutate oltremanica, e il primo ministro inglese David Cameron è sicuro che queste riusciranno a convincere i suoi compatrioti a votare per la permanenza britannica nell’Europa unita. Tuttavia le incertezze non mancano, soprattutto perché gli eurofobi d’Inghilterra accetterebbero di restare in Europa solo per beneficiare dei vantaggi del mercato unico senza – contemporaneamente – doversi sottomettere alle regole di solidarietà e dunque, in generale, agli obblighi derivanti dalla partecipazione all’Unione; ovviamente un’aspirazione del genere non sembra soddisfatta dalle proposte europee. In una campagna contro la Brexit, ad esempio, Cameron aveva posto come prima condizione che per quattro anni il suo paese potesse evitare di versare sussidi agli immigrati europei ivi stabilitisi, ma una concessione di questo tipo sarebbe palesemente contraria ai principi della libera circolazione nel territorio dell’Unione e della parità di diritti dei cittadini europei; così la richiesta è stata semplicemente etichettata come inaccettabile dalle istituzioni europee che l’hanno respinta con fermezza. Londra ha inoltre chiesto di non essere legata all’obiettivo comune di “un’unione sempre più stretta”, richiesta soddisfatta con la concessione della non inclusione del Regno Unito nel raggiungimento del fiƒsne di un’integrazione europea “più serrata”. Cameron ha inoltre ottenuto di poter invocare con anticipo – e qui sta la differenza rispetto agli altri Stati membri – un pericolo per i conti pubblici, che dovrà comunque essere dimostrato, per rendere progressivo il versamento dei contributi. Impossibile invece che l’Unione acconsenta che i parlamenti nazionali possano opporsi alle decisioni comuni: il meccanismo proposto è estremamente restrittivo.

“Brexit o non Brexit?”, dunque, verrebbe da chiedersi, parafrasando Donald Tusk che con un tweet ha a sua volta citato il celeberrimo dubbio amletico, l’essere o non essere shakespeariano: “to be, or not to be together, that is the question”;. Per ora regna l’incertezza, accresciuta dal fatto che gli inglesi non si pronunceranno su un nuovo trattato, come invece avevano fatto i francesi nel 2005, ma sull’uscita dall’Unione e dal mercato comune. Ciò che è possibile intuire è che se la questione migranti non sarà risolta entro giugno il rischio Brexit da possibile diventerà quantomeno probabile.

Un’ultima riflessione ha a che fare con l’Italia, che con la Gran Bretagna ha rapporti economici ben consolidati: la Brexit indurrebbe certamente a riconsiderare tutti i parametri che hanno reso possibili e reciprocamente conveniente diversi interscambi.