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La crisi della giornalismo italiano nel “Rapporto LSDI 2015”

12540425_1706142999627110_2077823555_ndi Gabriele Borghese

E’ di questi giorni la pubblicazione, da parte del gruppo di lavoro “Libertà di stampa e diritto all’informazione” (LSDI), del sesto rapporto sulla professione giornalistica in Italia (“Rapporto LSDI 2015“), che fotografa l’andamento dell’attività lavorativa dei giornalisti italiani.
Sul sito dell’LSDI si trova una introduzione al Rapporto, che ne spiega il quadro d’insieme: “Il processo di progressiva contrazione del lavoro dipendente e la parallela crescita del peso del lavoro autonomo continuano ad essere i tratti salienti dell’evoluzione della professione giornalistica in Italia, come mostrano i dati relativi al 2014 dell’INPGI e degli altri istituti di categoria”.
Questo andamento è indice del fatto che i giornalisti nel concreto, smettono sempre più di essere dipendenti a contratto di aziende e testate, per diventare “autonomi”, cioè non dei professionisti pagati regolarmente da qualcuno per esercitare il loro lavoro. Come mostra il primo grafico tratto dal Rapporto, si passa dalle percentuali del 2009 che vedono il 53.6% dei giornalisti “autonomi”, a quelle del 2014, che vedono gli “autonomi” in percentuale del 64.4% dei giornalisti.
12467940_1706142972960446_1971182515_nIn diminuzione sono anche gli iscritti all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani, con una perdita di nuovi iscritti all’anno di circa 1000 unità dal 2000 al 2014.
Sono soprattutto i classici luoghi di lavoro dei giornalisti a perdere unità. Queste le cifre del Rapporto: “quotidiani, periodici e RAI, che nel 2000 rappresentavano il 76% del lavoro giornalistico dipendente, nel 2014 sono calati al 59,5. Mentre enti pubblici e privati e la pubblica amministrazione, che 14 anni fa contavano l’8,1% dei rapporti di lavoro subordinato, hanno raddoppiato il loro peso e rappresentano ora il 16,7% dei rapporti di lavoro”.
Tutto ciò non vuol dire che siano diminuiti i giornalisti. Al contrario il numero degli iscritti all’Ordine è salito, negli ultimi quindici anni, del 54,8%. In aumento forte è anche il numero dei pubblicisti (inclusi i pubblicisti-praticanti) del 152% (da 2.686 a 6.772).
Il dato che più allarma è ovviamente quello legato alle retribuzioni. Come è scritto sul sito dell’LSDI: “Crescita che non è sinonimo di maggior ricchezza dei lavoratori. Quattro giornalisti atipici o autonomi su dieci dichiarano reddito zero, sette su dieci si collocano sotto i 10 mila euro, mentre resta sostanzialmente stabile la media dei redditi (di chi ne dichiara uno) che rimane 6,9 volte (per i co.co.co) e 4,7 volte (per i liberi professionisti) inferiore rispetto alla media dei lavoratori subordinati, stabile a 10.935 euro lordi annui (erano 10.941 euro nel 2013)”. Inoltre le donne che praticano questa professione nel 2014 hanno guadagnato meno degli uomini, il 76,5% della retribuzione maschile.
Infine nel Rapporto è anche evidenziata la situazione dei giovani: “Nel 2014 la percentuale di rapporti di lavoro che facevano capo a giornalisti con meno di 30 anni di età è scesa ulteriormente, scendendo al 4,5% (era il 5,6% nel 2013 e il 7,1% nel 2012)”.