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L’Università crolla, le diseguaglianze crescono

Screenshot 2015-12-11 08.00.54di Mattia Papa

Ridimensionamento e disuguaglianze: sono queste le parole chiave che descrivono il sistema universitario del nostro paese. O almeno è quanto emerge dal Rapporto della Fondazione RES sulle Università e il Sud.
Nel rapporto, si mette in luce la prima reale e significativa riduzione del sistema universitario di circa un quinto. Rispetto al 2004, nell’anno accademico 2014-15 gli immatricolati sono ridotti di oltre 66 mila studenti, passando da circa 326 mila a meno di 260 (-20%); i docenti da poco meno di 63 mila a meno di 52 mila (-17%); il personale tecnico amministrativo da 72 mila a 59 mila (-18%); i corsi di studio scendono da 5634 a 4628 (-18%).
Numeri che non meravigliano nessuno, certo. Infatti, dopo tagli ai finanziamenti delle università nel fondo di finanziamento ordinario (diminuito del 22,5%) e un servizio per il diritto allo studio che si rivolge esclusivamente al 10% del totale degli universitari, ci si chiede come potrebbe vivere l’Università di una salute migliore. È anzi miracoloso che, con la condizione esistenziale che si vive in molte zone del Paese, le università restino ancora aperte e che ancora si creda che una qualche valenza e funzione la formazione l’abbia.
Studenti allontanati dai luoghi della formazione e a cui viene chiaramente detto in ogni modo: dagli idonei a ricevere la borsa di studio (uno su quattro non la ottiene per mancanza di fondi) ai servizi mensa (è disponibile un posto in mensa ogni 35 studenti iscritti) e alloggio (solo per il 2% degli studenti è assegnato in residenze universitarie) carenti.
210958666-8a5fe7e0-9332-4a0a-9f0c-ab0cdb837807Tutto questo se non si considera la riproduzione costante della parcellizzazione e dell’individualismo dilagante nella società, accentuato all’interno dei luoghi universitari, e incattivito dal continuo insegnamento (perlopiù indiretto, ossia di carattere strutturale ossia di trasmissione passiva di certi valori, punti di partenza non discutibili) di un manière d’être in continuo conflitto con il prossimo: si guardi al sistema della valutazione e della meritocrazia, basato su un sistema di produzione di CFU (crediti formativi) e non su una comprensione teorica e pratica della disciplina, in un continuo paragone all’altro in termini di sfida e astio degli studenti con gli altri. Insomma, una scuola perfetta per la precarietà che aspetta (o che è già, quindi, connaturata con il sistema universitario stesso, riflesso di un sistema economico-sociale disgregante ed escludente) fuori le quattro mura delle sedi universitarie.
Ma è in relazione alla distribuzione geografica che i dati diventano ancora più spaventosi: il calo delle immatricolazioni è particolarmente intenso nelle Isole (-30,2%), nel Sud continentale (-25,5%) e nel Centro (-23,7%, specie nel Lazio); più contenuto al Nord (-11%). Anche gli abbandoni degli studi seguono la divisione territoriale: gli abbandoni universitari dopo il primo anno sono del 12,6% al Nord, il 15,1% al Centro e il 17,5% al Sud. Insistendo su ambigui criteri di merito, si sta finendo per concentrare le risorse e gli investimenti in pochi atenei di serie A che coprono un triangolo di 200 chilometri di lato con vertici Milano, Bologna e Venezia (e qualche estensione territoriale a Torino, Trento, Udine); mentre la serie B, cioè gli altri atenei, copre il resto del Paese. E in questo sguazza l’Espresso, che elogia il piacere di studiare a Milano, mentre a Napoli la più grande università (nonché la più antica) del Mezzogiorno, la Federico II, ha perso più di un migliaio di studenti negli ultimi anni, e la diminuzione delle immatricolazioni è da sommare agli abbandoni e a chi, da quest’anno, non potrà pagare le rette per un aumento esponenziale delle tasse universitarie in base al nuovo calcolo ISEE.
Poco da aggiungere, se non che dopo i dati SVIMEZ una situazione peggiore non ce la potevamo immaginare, se non rappresentandoci una qualche sorta di Apocalisse. Invece l’orizzonte della nostra immaginazione continua a sperimentare sempre nuove frontiere. Il che sarebbe anche divertente, se questo non si pesasse su una distruzione costante e continua delle nuove generazioni.