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“Sognando s’impara 2” – Capitolo 1

2012_48474_135747di Brando Improta

Tutto quello che vorresti o non vorresti vivere,
i tuoi sogni l’hanno già conosciuto
(Stefano Lanuzza)

Appena arrivato in ufficio, parlai di quello strano episodio a Gennaro. Fu lui a dar voce a un pensiero che mi aveva subito turbato, ma in maniera del tutto inconscia, dicendo: “Faresti meglio a raccontare questa storia a Mago Oreste”. “Mago Oreste? Che c’entra adesso Mago Oreste?”, chiesi piuttosto perplesso. “Se ti ha aiutato già l’altra volta a far sparire mostri e mostriciattoli vari, potrebbe essere utile anche questa volta”. Guardai il mio collega per un po’, poi scuotendo la testa risposi “Mi sembra inutile scomodarlo per una tale sciocchezza, è un semplice episodio di pazzia”. “Se è un semplice episodio di pazzia, come dici tu, perchè me lo hai raccontato appena arrivato ?”. Il ragionamento di Gennaro non faceva una grinza. L’exploit di quel passante mi aveva in qualche modo colpito, e non tanto per la stranezza della cosa in sé, ma perchè per la prima volta, dopo anni, trovavo qualcosa che mi ricordava prepotentemente la mia avventura con il mondo onirico. Era un ricordo immotivato, nulla mi testimoniava che ci fosse un collegamento, eppure la sensazione era davvero fortissima. Non esternai nessuna di queste perplessità al mio amico, dirle ad alta voce mi avrebbe fatto paura, come se pensarle soltanto avrebbe potuto renderle vane, mentre parlarne le avrebbe rese fondate all’improvviso. Continuammo così a lavorare, senza più tornare sull’argomento, prendendoci qualche pausa per prendere in giro Cioffa, un mio sottoposto particolarmente antipatico.

ipblz9Tornai a casa molto più rilassato, avevo quasi del tutto rimosso l’episodio di quella mattina, e avevo voglia di portare Chiara fuori. Fare qualcosa insieme mi avrebbe definitivamente fatto tornare alla normalità. Chiara è una disegnatrice di fumetti, e la trovai china su di un foglio, a lavorare ad una nuova serie orrorifica. Mi avvicinai in silenzio e l’abbracciai alle spalle. Non si spaventò, anzi a sua volta mi cinse le braccia con le sue, lasciando rotolare la matita su una serie di tavole in bianco e nero. “Brrr…ma una storia un po’ più per bambini no?”, domandai guardando le inquietanti vignette che Chiara aveva già completato. “Questo tira oggi, i fumetti per bambini, come li intendi tu, sono sorpassati” mi rispose lei con una certa supponenza. “Vabbè, che ne dici se andiamo a farci un giro invece di stare qua a farti girare gli occhi con tutti quei disegni?”. Nemmeno il tempo di decidere dove andare che eravamo già fuori casa, pronti a divorarci la città. La sua compagnia aveva fatto sparire anche gli ultimi sprazzi dell’inquietudine che aveva accompagnato quella mia giornata. Avevamo cenato fuori e poi eravamo stati al cinema a vedere un film. Stavamo tornando a casa quando, all’improvviso, cominciai a sentire un rumore che mi echeggiava nella testa. All’inizio, da buon napoletano, pensai che probabilmente qualcuno mi stava nominando. Ma, a rifletterci bene, non sembrava il classico fischio che si associa al nostro nome pronunciato con invidia o disprezzo da qualche nemico. Quel rumore, quasi impercettibile, mi ricordava più la voce di un bambino. Come una nenia infantile, quella vocina continua a rimbalzare in circolo nei miei pensieri. Cercai di ignorarla, continuando a conversare con Chiara come se niente fosse, ma a quella prima voce se ne aggiunse un’altra, e poi un’altra ancora, fino a che di bambini in testa non ne avevo un intero coro. Un coro incessante di piccole voci, che passarono presto da una cantilena a un urlo quasi lacerante, che non riuscivo più a dissimulare. Sempre più evidente si faceva sul mio volto che qualcosa non andava. “Tutto bene?”, mi chiese Chiara, con un accenno di preoccupazione in volto. “Certo, entriamo”, ma non mi riuscii di aprire la porta con disinvoltura, le voci continuavano ad aumentare il loro volume e ad accecarmi con il loro frastuono. Finchè non resistetti più. Lasciai cadere le chiavi. Mi portai le mani alle tempie. E cominciai ad urlare. Gridai con tutto il fiato che avevo in gola, come se alzando la voce potessi coprire quelle che avevo nella testa. Ricordo un racconto che mi faceva sempre mio nonno, di un ragazzo che abitava nel suo paese, mi pare proprio accanto alla casa dove viveva da piccolo. Questo ragazzo un giorno cominciò a sentire delle voci, bastarano poche ore perchè lo internassero in una casa di cura. Mi aveva sempre spaventato l’idea di impazzire a mia volta e di essere sepolto in un manicomio, da solo. E quelle voci non erano certo un buon presagio. Finalmente smisero, e mi lasciarono a terra, rannicchiato come un bimbo indifeso, contro la porta ancora chiusa del mio appartamento. Chiara rimase un attimo interdetta poi, lentamente, mi si avvicinò e mi abbracciò. Rimanemmo così finchè non trovai la forza di alzarmi. Ci vollero alcune ore.

PROLOGO