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“Stay hungry, stay foolish”. Dieci anni fa il discorso di Steve Jobs all’università di Stanford

Articolo #23 - Stay hungry, stay foolish. Dieci anni fa il  discorso di Steve Jobsdi Marco Passero

California, giugno 2005. Un discorso diretto all’anima, volutamente motivazionale. “Abbiate il coraggio di seguire quello che avete nel cuore, lasciatevi guidare dall’intuito”: così Steve Jobs provava a stimolare i giovani laureandi dell’università di Stanford e li sfidava a scommettere sulla propria vita. Da quel momento il motto “Stay hungry, stay foolish” (tratto in realtà dalla rivista The Whole Earth Catalog, considerata dallo stesso Jobs un antesignano in forma cartacea di Google) non avrà più confini, e in tutto il mondo chiunque sarà in grado di associare queste parole al fondatore della Apple, giungendo quasi a considerarle un suo testamento. Già da qualche anno Jobs era a conoscenza della malattia che lo attanagliava, un tumore maligno al pancreas che lo porterà alla morte nel 2011, e probabilmente anche da ciò nacque l’invito a non perdere mai la curiosità, a recepire sempre nuovi stimoli, a farsi spingere continuamente da un po’ di “sana follia”.

Nel suo discorso Jobs ribadì dunque l’importanza del tempo, da non sprecare vivendo secondo il dettato di altri poiché risorsa limitata, da non vivere prestando troppa attenzione alle opinioni della gente. Jobs raccontò di non essersi mai laureato, di avere lasciato molto presto l’università per la quale i suoi genitori adottivi stavano spendendo tutti i loro risparmi e di aver ascoltato il suo istinto, un istinto che inizialmente gli suggerì soltanto di seguire un corso di calligrafia per imparare la scrittura e i caratteri; chiunque gli ricordava che tutto ciò non avrebbe mai avuto un’utilità o un riscontro per il suo futuro, e invece dopo dieci anni tutte quelle nozioni furono utilizzate per la realizzazione del primo Macintosh, “e dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer” in grado di gestire caratteri differenti o font spaziati in maniera proporzionale se Steve Jobs non avesse improvvisamente deciso di seguire quel corso. Guardandosi alle spalle Jobs era stato in grado di ricostruire i rapporti causa-effetto di una vita che una volta appariva disordinata, e il primo appello ai giovani era proprio questo: un giorno sarà possibile “unire i puntini” riguardando al passato. Nel frattempo “credete in qualcosa – il vostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa”. Jobs proseguì poi con il racconto della sua personalissima esperienza, dalla fondazione della Apple nel garage dei suoi genitori insieme a Steve Wozniak, trasformandola in soli dieci anni in una compagnia da due miliardi di dollari e con oltre quattromila dipendenti, al licenziamento. “A trent’anni io ero fuori. E in maniera plateale. (…) Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo”. È a questo punto che Steve Jobs fondò la NeXT, poi comprata dalla stessa Apple, e la Pixar, in grado di creare il primo film in animazione digitale, Toy Story. Con questo breve excursus sulla propria esperienza Jobs voleva sottolineare agli studenti che qualche volta la vita ti colpisce, magari privandoti della tua creazione, allontanandoti da ciò che avevi realizzato con tutti i tuoi sforzi. Ma probabilmente senza quel licenziamento non ci sarebbero state le vittorie successive. “Sono convinto che l’unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quel che amate. (…) L’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. (…) Non accontentatevi”. L’ultima storia che Jobs volle raccontare aveva a che fare con la morte. L’invito è a chiedersi ogni mattina se ciò che stiamo per fare è davvero ciò che vorremmo fare se si trattasse del nostro ultimo giorno; quando la risposta è troppo spesso negativa bisognerebbe agire per cambiare qualcosa. E a Jobs la diagnosi di un tumore maligno, accompagnata dal consiglio dei medici di “sistemare gli ultimi affari”, servì per “evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere”. Quella terribile diagnosi gli permetteva di parlare con cognizione e coraggio di un argomento come la morte: “La Morte è l’agente di cambiamento della Vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. E adesso il nuovo siete voi. Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete diventare”.

Sono trascorsi dieci anni da quel giugno 2005. Intanto soltanto dal canale ufficiale dell’università di Stanford su Youtube più di 22 milioni di persone hanno ascoltato e riascoltato quei quindici minuti, e nulla sembra essere cambiato. “Siate affamati, siate folli, perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero”.