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“Youth – La giovinezza”: la grande leggerezza del nuovo film di Paolo Sorrentino

PSV1432195280PS555d90d064915di Marco Chiappetta

TRAMA: Ospiti di un lussuoso albergo sperso tra le Alpi svizzere, due amici di lunga data e in piena terza età, il compositore Fred Ballinger (Michael Caine) e il regista Mick Boyle (Harvey Keitel), il primo ritiratosi dalle scene, il secondo a lavoro sul suo ultimo film, contemplano la vita, osservano gli altri clienti dell’albergo, affrontano i problemi della vita quotidiana, ricordano il passato, sperano nell’avvenire. Circondati da un mondo ora frivolo, ora sofferente, ora spensierato, i due anziani amici fanno il conto con rimorsi, ricordi, segreti, sogni, speranze, ma soprattutto con la vita, la vecchiaia, la solitudine e la paura della morte.

GIUDIZIO: Presentandosi come un film in apparenza minore, dopo l’exploit mondiale dell’ambizioso e immaginifico “La grande bellezza”, il settimo film di Paolo Sorrentino, il secondo in lingua inglese, è un ritratto intimista e corale di un altro mondo di decadenza, messo in scena però con un’ironia, un brio, una leggerezza che esorcizzano la proverbiale malinconia del regista napoletano, meno solenne e crepuscolare che nel film precedente. Protagonista è ancora una volta un uomo vissuto e finito, che, parafrasando uno dei momenti poetici del film, guarda la vita dal lato del binocolo: quello in cui il passato è lontano, e il futuro non esiste. Parente dunque delle maschere di Toni Servillo, dello Sean Penn di “This Must Be The Place” e finanche del Tony Pagoda della sua avventura letteraria (“Hanno tutti ragione”), il protagonista di quest’opera matura ed energica, interpretato da un sempre immenso Michael Caine, è un uomo bloccato da un passato pesante, cieco di fronte l’avvenire, chiuso in un albergo a cinque stelle che è limbo e purgatorio. Visioni di giovinezza e bellezza, ma anche ricordi e sogni, causano frastuono nell’idillio pacifico di un uomo che ha avuto e perso tutto, e che non ha più nulla da attendere: così è l’ennesimo alter ego di Paolo Sorrentino, anche lui artista vissuto, consumato, maturo, che dopo l’Oscar dice la sua sul peso del successo e della gloria. Il film parte benissimo, si assesta un po’ troppo prendendo e perdendo troppe piste, si riconcilia in un intenso finale. Ancora però troppo ragionato, troppo concentrato su uno stile virtuosissimo e visionario a ogni costo, Sorrentino ci mette sì tanta ironia e tanto stile, ma resta alle volte freddo e troppo impostato per far evadere un’emozione sincera. Svariati momenti di alto cinema pervadono il film, come Michael Caine che trova la musica in una cartina di caramella o dirige un’orchestra di suoni campestri e animali, o anche l’intenso dialogo, quasi à la Cassavetes, tra Jane Fonda (in un grande cameo) e Harvey Keitel, e ancora quest’ultimo che rivede in una lunga distesa di prato tutti i personaggi femminili del suo cinema. La precisione delle inquadrature, la mobilità della regia, la scelta delle musiche, soprattutto il ritmo del racconto, il disegno dei personaggi (anche secondari, vedi Rachel Weisz e Paul Dano) e la bellezza dei dialoghi, ci confermano ancora una volta lo spessore del regista. Ma Sorrentino non ha ancora perso quel malsano gusto per il kitsch, per il superfluo e per la provocazione grottesca fine a se stessa che spesso e non volentieri hanno allontanato i suoi film, specie gli ultimi e il qui presente, dall’aurea di capolavoro che pur pareva vicina. Un imbolsito Maradona con un tatuaggio dorsale di Marx e scorte di ossigeno al seguito, un’adolescente che balla a ritmi sfrenati davanti una tv, un alpinista romantico, l’incubo di una popstar indecente e cacofonica, sono tra le tante aggiunte superflue e fin troppo leggere a un tessuto narrativo e stilistico che di per sé funzionava benissimo. Se Sorrentino ha le mani fatate e l’occhio magico e la visione di un genio, ancora una volta gli si rimprovera di strafare, eccedere, di indulgere in quella cattiva abitudine, tipica di talenti incontrollabili, di aggiungere invece che togliere. Ma anche preso così, nel bene e nel male, “Youth – La giovinezza ” è un film personale e a tratti sorprendente, profondo e leggero a un tempo, intimo e corale, film per tutti, per nessuno e soprattutto per se stesso.
VOTO: 3/5