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L’America socialdemocratica di Bernie Sanders

berniedi Bruno Formicola

L’anno prossimo i cittadini americani saranno chiamati ad eleggere il nuovo presidente degli Stati Uniti che dovrà succedere al democratico Barack Obama, eletto per due mandati consecutivi. Si tratta di un evento di importanza mondiale, dato il ruolo estremamente rilevante che la potenza a stelle e strisce e la sua più alta carica ricoprono negli affari globali. I media sono in fermento e la campagna elettorale per le primarie è già stata inaugurata. A concorrere all’interno del Partito Repubblicano ci sono molti nomi: le primarie sono il campo di battaglia in cui si scontreranno le correnti interne, come l’ala libertaria, che negli ultimi anni sembra essere riuscita a raccogliere un numero sempre maggiore di consensi. I candidati principali sono Ben Carson, neurochirurgo afroamericano molto critico della riforma sanitaria di Obama, Rand Paul, idolo dei paladini del governo minimo, Ted Cruz, di origini cubane e italiane, che grazie al suo cognome potrebbe portare nel bacino del Partito Repubblicano i voti dei cittadini latinoamericani, e Marco Rubio, senatore della Florida. Anche Jeb Bush, fratello dell’ex presidente George W. Bush ed ex governatore della Florida, è interessato a candidarsi, ma è già partito con la marcia sbagliata dichiarando che, tenendo conto anche degli attuali risvolti, sarebbe stato comunque a favore dell’invasione dell’Iraq. È stato fortemente criticato, persino da alcuni repubblicani, e ha deciso di ritrattare la sua affermazione.
La rosa dei democratici è altrettanto ampia: Elizabeth Warren, attuale senatrice del Massachussets, Hilary Clinton, moglie dell’ex presidente Bill Clinton e Segretario di Stato durante il primo mandato di Obama, ma a destare molto interesse c’è la candidatura del Senatore del Vermont Bernie Sanders, che sullo spettro politico è posizionato più a sinistra della Clinton e della stessa Warren, considerata una delle facce più liberal all’interno del partito. Sanders si è più volte definito un “socialista”, una denominazione che può apparire insolita per un paese come gli Stati Uniti, in cui tradizionalmente le ideologie più “radicali” sono state tagliate fuori dalla scena politica oppure represse (come negli anni ’50 durante il cosiddetto maccartismo) soprattutto se facevano riferimento al rivale sovietico. La sua candidatura, ma soprattutto il suo successo, è sintomo della trasformazione della politica americana, sempre più ideologizzata e frammentata, quindi meno centrista, ma anche di una crescente attenzione da parte dei politici americani alle istanze delle classi meno abbienti, alla base della piramide sociale, e di un maggiore supporto popolare verso politiche redistributive. È molto seguito su Reddit, ma soprattutto su Facebook, dove in una settimana ha avuto circa 5 milioni di interazioni, un numero molto maggiore rispetto ai principali candidati repubblicani. Il suo elettorato è molto più euforico rispetto a quello di Hilary Clinton e i suoi post, che generalmente contengono citazioni proprie o di personaggi storici, hanno migliaia di condivisioni.
Vermont SenateSi tratta di un candidato fuori dai soliti schemi: è una novità per la politica americana. Il senatore del Vermont è un candidato indipendente, ma è sostenuto dal Partito Democratico. Ha origini ebree, è laureato in scienze politiche ed ha già ricoperto diverse cariche, tra cui quella di sindaco di Burlington, principale città del Vermont. Ha dichiarato di volere un’America simile ai paesi scandinavi, in cui a tutti, nessuno escluso, possa essere garantito l’accesso alle cure e in cui gli studenti possano studiare senza essere sepolti dai debiti. È favorevole all’attuazione di politiche volte a contrastare il riscaldamento globale ed è a favore dei matrimoni omosessuali e dell’aborto; si batte per una tassazione maggiormente progressiva ed è fortemente critico verso la tassazione minima a cui sono sottoposte le grandi corporation. È chiaro che si ispiri alla socialdemocrazia dei paesi nordici europei, e non a quella della “terza via” di Blair, né tantomeno al socialismo di stampo sovietico che presuppone una pianificazione centralizzata dell’economia.
Nonostante queste sue idee indiscutibilmente progressiste, Sanders sembra possedere anche un’anima interventista in politica estera e conservatrice, di solito riscontrabile nei neoconservatori repubblicani o nei moderati del Partito Democratico. È stato favorevole all’utilizzo dell’esercito in Iraq, nel 1990, durante la guerra del Golfo, così come al dispiegamento delle truppe in Somalia nel 1993 e all’intervento della NATO in Serbia, durante la guerra jugoslava. Nel 2001 autorizzò, con il suo voto, l’uso della forza militare in Afghanistan: il primo passo della “Guerra al terrore” di Bush. Durante la sua carriera ha anche appoggiato diverse leggi favorevoli al libero utilizzo delle armi, ad esempio il ”Protection of Lawful Commerce in Arms Act” che deresponsabilizza i produttori di armi dalla messa in commercio di prodotti difettosi e i venditori dalla vendita di armi a persone con problemi psicologici. Solo ultimamente ha approvato una modesta misura favorevole al controllo delle armi, ma lui stesso ha dichiarato che “se passasse una legge che imponesse uno stretto controllo delle armi, questa non avrebbe profondi effetti sulle tragedie.”