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Università Orientale e baby gang: dietro le violenze, una questione sociale

di Marco Di Domenico

All’università L’Orientale di Napoli è da almeno un anno che il tema delle aggressioni delle cosiddette baby gang è all’ordine del giorno, tra alti e bassi.
La sede più colpita è palazzo Giusso: essendo un crocevia tra Banchi Nuovi e Largo San Giovanni Maggiore, è un punto di ritrovo non solo per gli studenti ma anche per bambini di passaggio.

Quando si parla di aggressioni, però, bisogna chiarire: non sono aggressioni fisiche, tranne qualche episodio con delle ragazze ma minimale, quanto piuttosto di una sorta di sfinimento psicologico. Perché, infatti, nonostante molti studenti, che sono stati aggrediti verbalmente o a cui sono state derubate delle cose, descrivano questi soggetti come un grave problema di ordine pubblico, si parla sempre di bambini, una fascia di età compresa tra i 9 e massimo i 13 anni. E’ bene ricordarlo. Non per cadere nel giustificazionismo, bensì per interrogarsi.

Se più bambini alle 12:00 di un giorno infrasettimanale si recano in un’aula studio a Giusso per disturbare chiedendo (o anche esigendo a volte) sigarette, caffè o prendendosi gioco di alcuni studenti, vuol dire semplicemente che non sono andati a scuola. La scuola dell’obbligo. Quindi, bisogna chiedersi perché i servizi sociali del Comune non si attivano per strapparli dalla strada.
Esasperati dalle richieste, dai modi e talvolta dalle minacce di ritorsioni dai parenti di questi bambini, gli studenti chiamano le forze dell’ordine: ovviamente nulla possono, ma consigliano di sporgere denuncia affinché la Questura possa rendersi conto del problema e sorvegliare la zona.

Ma, la repressione, o meglio dire la militarizzazione del territorio non è affatto una soluzione. Innanzitutto perché il centro storico è già altamente presidiato: pattuglie stabili dell’esercito, polizia, carabinieri, polizia locale e molte unità dei falchi. Chiedere di più sarebbe impossibile per le stesse forze dell’ordine. Ancora, parlando di bambini, a meno che non accada qualche grave episodio di violenza fisica, la pubblica sicurezza non può nulla. Ed episodi del genere, per fortuna, non sono ancora accaduti.

Certo, nel silenzio delle istituzioni, sia accademiche che politiche, è normale che tra gli studenti scatti allarmismo e ci siano appelli vari alla sicurezza: dall’organizzare squadre di pattugliamento o di scorta, fino ad arrivare a pensare di avere una camionetta fissa della polizia fuori l’università.

Indubbiamente, il vanto dell’Orientale è di avere ben tre sedi in pieno centro storico. Ma, non deve essere solo un vanto, bisogna che diventi un punto di riferimento per tutta l’area circostante. E, ad oggi, non è così. A parte il mondo accademico, sembra che l’Orientale sia percepito come qualcosa calato dall’alto, scollegato dal tessuto sociale molto variegato che popola il Centro Storico. Infatti, queste baby-gang devono essere recuperate. Sarà difficilissimo. Ma, allora, che senso ha parlare di antimafia sociale se al primo scoglio duro, si pensa solo all’aspetto repressivo del crimine?

Bisogna che Comune, II Municipalità, commercianti della zona, Università – anche la Federico II – e tutte le altre associazioni e comunità del centro storico discutano seriamente e che mettano in campo tutte le azioni possibili. E’ chiaro che questi bambini provengano da famiglie cosiddette “disagiate”: famigliari in carcere o impegnate in attività criminose nella città di Napoli. Ma, partire prevenuti o rassegnarsi non sono soluzioni.

L’università dovrebbe capirlo: non è facile perché questa non è una soluzione a breve termine. Tutt’altro. Richiederà tempo e pazienza. E nel frattempo qualcosa si deve pur fare: c’è bisogno che gli studenti si confrontino e non si sfoghino soltanto sui social network. Chi vive quotidianamente questa situazione non può arroccarsi sulla sicurezza e basta. Deve fare un passo indietro. Che non significa porgere l’altra guancia, ma provare a mettere in campo qualcosa volta al dialogo con questi soggetti, seppur difficili da prendere. Non è una cosa impossibile, ma, anche qui, ci vuole pazienza lungimirante.

Quello che spaventa di più gli studenti, però, è la percezione di sicurezza: non una parola avuta dal Rettore o dalle istituzioni politiche. Abbandonati a se stessi e alla difficile realtà di Napoli, è facile reagire pensando alla sorveglianza ad oltranza. E’ il sintomo di una comunità che ha perso la speranza di un futuro migliore, anche il solo pensiero che qualcosa possa cambiare. E questa è una sconfitta per tutta la città: una comunità di giovani non può e non deve arrendersi.

La comunità studentesca si è interrogata in queste settimane e le organizzazioni studentesche, come Link Orientale, hanno già avanzato la proposta di istituire un “tavolo sul futuro”. Tutte le istituzioni devono mettere in campo delle soluzioni che partano dall’antimafia sociale, dal recupero di queste baby-gang. Per ora, si tratta di ribalderie che, se da un lato è vero che non si possono più sopportare, dall’altro si può ancora operare per salvare e donare a questi bambini un’altra scelta di vita.
Avanti così non si va: gli studenti si sentono abbandonati a se stessi ed il Centro Storico non può essere al centro del dibattito solo quando c’è la fiumana di turisti. Ci sono molti problemi sociali silenti o evidenti che non possono essere più ignorati. Ma bisogna partire adesso, prima che sia troppo tardi.