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TTIP, il trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti: identikit di un libero scambio

di Bruno Formicola

Dalla seconda metà del diciannovesimo secolo il percorso del commercio mondiale è stato lastricato di grandi e piccoli accordi internazionali, bilaterali e multilaterali, che hanno tacitamente costruito (e poi infittito) il sostrato della rete di scambio globale. Sebbene, però, la stagione dei free trade agreements fosse già stata inaugurata il secolo precedente (si pensi allo storico accordo anglo-francese Cobden-Chevalier del 1860), è negli anni ’40 del Novecento, principalmente con l’accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio (GATT), che vengono gettate le basi per la creazione di un ordine internazionale del commercio e si è assistito alla nascita di istituzioni internazionali incaricate di promuovere, regolare e salvaguardare il libero scambio tra stati (Organizzazione Internazionale del Commercio, Organizzazione Mondiale del Commercio etc.).
In questi anni si stanno svolgendo le trattative per la siglatura del Trans-Atlantic Trade and Investiment Partnership (TTIP), considerato “il più grande accordo commerciale della storia”. L’Accordo Transatlantico sul Commercio e l’Investimento è un trattato bilaterale in corso di negoziato che coinvolge le due economie più grandi del pianeta, gli Stati Uniti e l’Unione Europea (sommate, costituiscono il 45% del PIL mondiale). Se firmato, quest’accordo garantirebbe la nascita del mercato unico più grande del mondo. Le discussioni sul trattato si tengono da più di un decennio, ma solo nel 2013 il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e l’ex Presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso hanno dato il via ai negoziati. Nonostante il loro contenuto sia accessibile esclusivamente ai mediatori delle parti contraenti, alcuni giornali sono riusciti ad ottenere diverse informazioni e a renderle di pubblico dominio; si tratta di bozze riguardanti solo pochi dei numerosi meccanismi e aspetti che il trattato andrà a tangere, modificare o implementare. L’Unione Europea, invece, ha pubblicato un documento contenente le linee guida sulle quali il TTIP sarà strutturato. Ecco cosa sappiamo.
Il Trattato prevede l’eliminazione, da parte di entrambe le parti, dei dazi doganali applicati sulle merci (attualmente già molto bassi) e delle barriere non tariffarie, ovvero quei vincoli di carattere non fiscale imposti ai beni provenienti da un mercato estero che ne impediscono o ne limitano il commercio in un determinato spazio economico. Oltre ad una generale armonizzazione delle normative, è prevista la liberalizzazione dei servizi (tranne quelli audiovisivi) e quella dei mercati degli appalti e dei servizi pubblici, che permetterà alle aziende americane e quelle europee di poter operare sul mercato straniero a parità di condizioni delle aziende nate e stabilite in quel territorio. Per quanto riguarda gli investimenti, il Trattato mira a implementare le tutele destinate agli investitori stranieri; a tal fine, l’accordo prevede l’adozione dell’Investor State Dispute Settlement (ISDS), uno strumento già utilizzato presso alcune aree di libero scambio. L’ISDS costituirà un tribunale indipendente al quale le imprese potranno appellarsi per citare in giudizio lo Stato se riterranno che questo abbia attuato politiche che ostacolano la propria attività imprenditoriale. I tribunali sono composti da tre giudici, uno scelto dalla compagnia, un secondo nominato dal governo e un terzo scelto da entrambe. Se non vi è accordo tra le due parti sulla scelta del terzo giudice, questo viene nominato dalla Banca Mondiale.
Una disputa celebre tra gli studiosi di diritto del commercio internazionale ha come protagonista la compagnia produttrice di tabacco Philip Morris, che ha recentemente fatto causa al governo uruguayano per aver aumentato la dimensione dell’avviso di pericolosità per la salute presente sui pacchetti di sigarette e aver adottato altre misure che ne limitano la vendita. Dalla nascita del Trattato di libero scambio nordamericano (NAFTA), il Canada è lo stato che ha affrontato il più alto numero di cause da parte di colossi dell’industria e fino ad ora ha perso circa 168 milioni di dollari, oltre al denaro destinato alle spese legali.

In blu le aree del TTIP

Le aree del TTIP: in blu scuro gli Stati Uniti e l’UE, in azzuro gli altri possibili membri

A sottolineare gli aspetti positivi del TTIP vi sono diversi think tank e centri di ricerca, oltre a diversi economisti. Alcuni studi economici, come quello del Center for Economic Policy di Londra e dell’Aspen Institute, sostengono che il trattato incrementerebbe il volume degli scambi del 28% e che le famiglie europee percepirebbero ulteriori 545€ all’anno (alcune associazioni criticano la ricerca del Center for Economic Policy perchè tale centro è finanziato principalmente da grandi banche internazionali). L’accresciuta concorrenza tra le imprese europee e quelle statunitensi, inoltre, favorirebbe l’innovazione e lo sviluppo tecnologico. La Commissione Europea ha stimato un aumento del PIL dell’UE dello 0,5% e il commissario al commercio Karel De Gutch sostiene che entrambe le parti gioverebbero della creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Il vice ministro allo sviluppo economico del governo italiano Carlo Calenda ha auspicato che il negoziato venga concluso al più presto, così da intercettare gli investimenti stranieri che altrimenti verrebbero destinati ai paesi del Pacifico con i quali gli Stati Uniti stanno negoziando un trattato simile (Trans-Pacific Partnership). Molte, però, sono le voci contrarie che si levano dalla società civile e non solo. Innanzitutto, il negoziato, sottolineano diverse associazioni, necessita di maggior trasparenza. Né il Congresso degli Stati Uniti né il Parlamento Europeo, che rappresentano i popoli rispettivamente degli USA e dell’UE, hanno accesso ai documenti. In secondo luogo, queste fanno notare che l’abbattimento delle barriere non tariffarie minerebbe gli standard di sicurezza europei inficiando la qualità degli alimenti e la protezione dell’ambiente su cui l’Unione Europea ha stabilito regole molto severe, al contrario degli Stati Uniti; è quindi ipotizzabile che si assisterà ad un’involuzione degli standard europei e a un avvicinamento a quelli meno sicuri fissati dai nostri alleati d’oltreoceano. Un esempio è il principio di precauzione adottato dall’Unione Europea, secondo cui un prodotto, prima di essere immesso sul mercato, deve essere attentamente testato al fine di valutarne gli eventuali rischi per il consumatore; negli Stati Uniti questo procedimento non è sempre garantito. Dal punto di vista della concorrenza, si sostiene che l’apertura del mercato europeo alle multinazionali americane metterebbe in pericolo la sopravvivenza delle piccole e medie imprese che si troverebbero a competere sul mercato in condizioni di grande sfavore, proprio come successo agli agricoltori messicani in seguito alla firma del North American Free Trade Agreement, il quale, inoltre, dopo venti anni dalla sua ratifica ha causato negli USA un’ingente perdita di posti di lavoro e una riduzione dei salari in alcuni settori. Ma l’adozione dell’ISDS è uno degli aspetti del TTIP che preoccupa maggiormente i suoi detrattori. Scott Sinclair, un analista del Canada Center for Policy Alternatives, ha denunciato l’antidemocraticità di tale strumento: “Abbiamo questi guidici completamente deresponsabilizzati che si occupano della cosa pubblica. Perchè le industrie dovrebbero poter bypassare il sistema giudiziario nazionale?”. Oltreoceano, gli oppositori britannici al TTIP temono che l’ISDS possa mettere a rischio il Sistema Sanitario Nazionale in quanto le compagnie sarebbero legittimate a fare causa al governo se questo dovesse decidere di nazionalizzare le parti del servizio che attualmente sono in mano agli investitori privati.
Al fine di contrastare la sottoscrizione del TTIP (e anche del CETA, l’accordo bilaterale con il Canada), più di 380 associazioni europee hanno avviato una campagna congiunta di opposizione utilizzando lo strumento dell’European Citizens’ Initiative. Nonostante la Commissione abbia giudicato inammissibile la petizione dal punto di vista giuridico, fino ad ora più di un milione e mezzo di cittadini europei provenienti da tutti e 28 gli stati membri hanno posto la propria firma. Ad esprimere la propria contrarietà al trattato anche Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001, che nel settembre dello scorso anno ha tenuto un discorso di fronte ai membri del Parlamento Italiano: “Con l’accordo che firmerete, o meglio, con l’accordo che gli USA vogliono che voi firmiate, rinuncerete al diritto di proteggere i vostri cittadini”.