Home » News, Politica » “Se parlo io crolla il Parlamento”: dal 41 bis le parole di Raffaele Cutolo

“Se parlo io crolla il Parlamento”: dal 41 bis le parole di Raffaele Cutolo

Articolo #10 - La storia di Raffaele Cutolodi Marco Passero

È in carcere dal 27 aprile 1963. 41 bis, ovvero carcere duro, il che significa che ormai Don Raffaé non ha più un volto o un corpo nell’immaginario collettivo. L’unico “strumento” con il quale poteva farsi sentire era proprio la voce, e in questo caso parole gravi e laconiche possono avere una risonanza straordinariamente preoccupante. Dichiarazioni shock quelle dell’ex boss della Camorra, attualmente detenuto a Parma.

Il “professore di Ottaviano”, fondatore e capo tra gli anni settanta e ottanta della Nuova Camorra Organizzata che controllava affari illeciti di contrabbando, droga e appalti pubblici in particolare nell’ambito delle ricostruzioni post terremoto, distribuiva con i suoi ordini croci e terrore, e faceva guerra anche allo Stato che intanto lo combatteva. Questo almeno agli occhi dei cittadini, perché le trattative Stato-mafia costituiranno sempre una pagina cupa su cui sarà impresa ardua far luce. Oggi Cutolo dichiara di non aver più nulla a che fare con la realtà della criminalità organizzata e, attraverso le parole del suo avvocato Gaetano Aufiero, sottolinea che il 41 bis “si applica a chi è pericoloso e ancora collegato al mondo criminale”, non a chi come lui avrebbe commesso l’ultimo reato “ben trentaquattro anni fa”, mentre ripete come un mantra di essersi pentito dinanzi a Dio ma non dinanzi agli uomini. Le recenti dichiarazioni rilasciate a La Repubblica sono scottanti: “Per dignità non mi sono mai venduto ai magistrati. […] Non sono io il pericolo, sarei pericoloso se parlassi. Se parlassi io farei ballare le scrivanie di mezzo Parlamento, perché chi è al comando oggi è stato messo lì da chi veniva a pregarmi”.

Da anni Raffaele Cutolo non rilasciava dichiarazioni. Non vede né parla più con nessuno al di fuori della moglie Immacolata Iacone, della figlia di sette anni e del suo legale. Ormai la condizione è quella di un “defunto in vita”, tanto che molti non hanno esitato a definire la realtà del 41 bis così disumana da preferire la morte. Da un contesto del genere, e soprattutto considerando il ruolo e il potere di cui Don Raffaé godeva fino alla fine degli anni ottanta, dichiarazioni del genere suscitano scalpore. Magari è solo un modo per far parlare ancora di sé con una sorta di “minaccia” infondata, o magari il malcelato legame tra criminalità e istituzioni non si è mai allentato e ora rischia di sollevare un nuovo polverone.