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L’insegnamento non è per tutti: la questione TFA nelle università italiane

image_gallerydi Marco Di Domenico

Insegnare è il sogno di molti studenti. Ma, negli ultimi anni, accedere all’insegnamento non è stato affatto facile. Per diventare un lavoratore della conoscenza, bisogna cominciare a pensarci già dalla fine dell’istruzione superiore. Infatti, alcune classi di laurea – come la L36, quella di scienze politiche – non abilitano al cosiddetto Tirocinio Formativo Attivo. Quest’ultimo è il modello attualmente vigente in Italia ed in discussione per essere modificato.
Per accedere ad un bando TFA, si devono totalizzare, durante la triennale e la magistrale, un quantitativo di crediti che varia a seconda dei Settori Scientifico Disciplinari. Poi, si sostengono tre prove, due scritte ed una orale, e chi le supera è ammesso a svolgere un monte ore di didattica frontale nell’università di riferimento ed un monte ore di tirocinio all’interno delle scuole. Oltre ai requisiti accademici, ci vuole anche un sostentamento economico. Infatti, un TFA non è gratuito né proporzionale al reddito, né tantomeno integrato da borse di studio o altre agevolazioni normalmente riconosciute agli studenti. Occorre pagare una retta che oscilla tra i 2100 e i 2500, senza contare il costo della vita nella città dell’ateneo che eroga il corso. In più, il TFA non immette immediatamente nel mondo del lavoro, ma abilita solo all’insegnamento.

Da anni viene criticato questo regime di abilitazione all’insegnamento, ma nessun governo ha provato a mettervi mano. Eppure, nel Piano Scuola del governo Renzi, il Ministro Giannini ha ripreso il modello Gelmini della cosiddetta “magistrale abilitante” a numero chiuso, che dovrebbe andare in vigore dal 2016. Questo sistema prevede l’istituzione all’interno degli atenei di una laurea magistrale ad hoc per l’abilitazione, composta da esami universitari più un tirocinio di sei mesi all’interno delle scuole. Il tirocinante sarà valutato dal tutor – cioè il docente che l’avrà seguito durante il semestre – e dal dirigente scolastico della scuola presso cui avrà sostenuto il tirocinio: se questo verrà valutato positivamente, lo studente sarà abilitato all’insegnamento (dovendosi comunque laureare); se verrà valutato negativamente, bisogna ripetere il tirocinio in un’altra scuola. Se si verrà considerati due volte non idonei non si sarà abilitati all’insegnamento. Infine, le magistrali non saranno istituite per ogni classe di laurea, ma verranno accorpate, creando un’unica magistrale per più classi.

Anche in questo caso ci sono delle criticità: questa magistrale, infatti, abiliterà soltanto ma non impiegherà immediatamente nella scuola. Lo studente, così si troverebbe al termine della triennale a dover scegliere se continuare a formarsi nel campo di studio che ha scelto e tentare, dopo e durante la laurea magistrale classica, altre possibili strade (un dottorato di ricerca, un’ulteriore specializzazione) o se insegnare nella scuola, con una netta divaricazione fra le due possibilità. La separazione così netta fra mondo della ricerca e insegnamento rischia anzitutto di creare teaching Universities e researching Universities. Inoltre, ogni ateneo per poter attivare un nuovo corso di laurea (D.M. 47/2013, il cosiddetto “decreto AVA”) deve infatti disporre di un preciso numero di docenti e di risorse da impiegare per l’erogazione della didattica. Oggi quasi tutti gli atenei sarebbero impossibilitati ad attivare questi nuovi corsi di laurea, a meno che non decidano di chiuderne altri già esistenti con una riduzione dell’offerta formativa, della qualità della Didattica, della Ricerca e del numero di studenti. Infine, l’elemento più preoccupante è il non aver preso in considerazione un regime transitorio. Secondo lo schema del Piano Scuola, le magistrali abilitanti verranno attivate nel 2016, mentre l’ultimo ciclo di TFA è partito a giugno 2014. La domanda sorge spontanea: tutti gli studenti oggi iscritti alla magistrale o che sono al secondo e terzo anno di triennale, e che vogliono fare l’insegnante, che fine faranno?

Link – Coordinamento Universitario ha presentato una proposta di riforma del TFA: avviare un ciclo di TFA ogni anno fino al 2017 in modo da garantire la possibilità di accedere all’insegnamento anche a coloro che oggi risultano gli “ultimi degli esclusi”. Inoltre, secondo l’associazione studentesca, è fondamentale inserire i partecipanti al TFA nei meccanismi di diritto allo studio propri degli studenti per poter tutelare coloro che sono al di fuori del percorso universitario, ma non hanno ancora un reddito. Si va, allora, dalla tassazione calcolata in maniera progressiva, ai benefici erogati dagli enti regionali per il diritto allo studio, fino alla revisione del tirocinio, aprendolo a tutte le classi di laurea escluse e creando dei protocolli di garanzia per una qualità della didattica nonché una regolamentazione della figura del tutor.
Il 12 Febbraio, Link Napoli ha rilanciato la campagna nazionale #iovoglioinsegnare, volta a raccogliere firme per richiedere al Ministero l’attivazione di un ciclo di TFA per ogni anno fino al 2017.