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Egò eimì Tsìpras?

tsipras503di Gianmarco Botti

Lì dove la democrazia è nata e dove più che in ogni altro luogo ha rischiato negli ultimi anni di perire sotto i colpi della crisi economica, domenica si è tornato a votare. E non era mai successo che un’elezione greca fosse così attesa, partecipata (soprattutto attraverso un’impressionante attività sui social network), accolta nel proprio esito con reazioni così forti – positive e negative – al di fuori dei confini ellenici. Cittadini europei di tutte le nazionalità si sono sentiti “greci per un giorno”, hanno avvertito che ciò che sarebbe accaduto ad Atene avrebbe avuto conseguenze anche per i loro paesi, per le loro vite, hanno percepito il senso di un destino comune. Si sono sentiti per l’appunto questo, europei, cittadini di un’unica patria, come solo in pochi momenti topici della loro storia era capitato. È capitato di recente, in un contesto del tutto diverso, con gli attentati di Parigi, le manifestazioni di solidarietà a “Charlie Hebdo”, la grande marcia repubblicana. “Je suis Charlie” in fin dei conti significa proprio questo: siamo tutti europei, siamo tutti parte di una sola comunità di ideali, valori, cultura. E se l’accostamento non risulta, è il caso di dirlo, troppo ardito e dissacrante, si può immaginare che gran parte dell’opinione pubblica europea – di sicuro quella mediterranea e più in generale quella convinta della necessità di un’inversione di rotta nelle politiche europee – abbia seguito le elezioni greche riconoscendosi in questo slogan: “Egò eimì Tsìpras”. Che significa non solo e non tanto riconoscersi in Syriza e nel suo carismatico leader, ma soprattutto scommettere sull’ambizioso esperimento che egli ha promesso di compiere, sulla Grecia come laboratorio politico dal quale tirar fuori una nuova idea di sviluppo per l’Europa, alternativa a quella proposta da Bruxelles. Un esperimento, però, da effettuare dall’interno, senza alcuna uscita avventurosa dall’Ue e dall’euro, senza alcuna concessione alle lusinghe dell’euroscetticismo dilagante, di destra e di sinistra. È con questa promessa che Tsipras è riuscito ad allargare il suo bacino elettorale a settori lontani dalla sinistra tradizionale, e ha ottenuto la fiducia di tanti che anche al di fuori del suo paese hanno visto in lui l’ultima speranza di cambiamento per la Grecia e per l’Europa. Essere davvero europeisti oggi significa infatti essere molto eurocritici, fortemente scontenti della linea perseguita dalla Commissione Juncker, ancora troppo schiacciata sulle esigenze della Germania e del Nord. L’eurodogmatismo del fronte dell’austerity non è che l’altra faccia di quell’euroscetticismo che pure dice di disprezzare, ma invece alimenta costantemente. È ciò che dalle nostre parti va ripetendo instancabilmente Romano Prodi, padre del progetto europeista eppure capofila degli eurocritici quando si tratta di denunciare gli errori di una linea politica che quel progetto rischia di farlo naufragare. È questo lo spazio in cui Tsipras aveva promesso di muoversi, lo spazio stretto – almeno ai vertici della classe dirigente europea – eppure destinato ad allargarsi di chi non vuol gettare via il bambino con l’acqua sporca, ma nondimeno sa che liberarsi in fretta e in modo efficace dell’acqua sporca è l’unica cosa da fare perché il bambino viva e stia in salute.

SyrizaFlagsCome spiegare allora quella che è stata la sua prima mossa dopo l’affermazione elettorale, l’alleanza con i Greci Indipendenti di Anel, partito della destra antieuropeista, per formare il governo? Quanto è netto il confine fra eurocritica ed euroscetticismo? Con questa scelta Tsipras l’ha forse superato? Certamente è presto per dirlo. E bisognerà aspettare di vedere il nuovo governo all’opera per giudicare. Nel frattempo, però, sarà meglio non prestare attenzione all’esultanza con cui Marine Le Pen, leader dell’ultradestra francese e suffragetta dell’euroscetticismo europeo, ha accolto la vittoria di Syriza; non lasciarsi impressionare dal curriculum ultraconservatore di Anel e dei suoi esponenti, anche se il leader Panos Kammenos siede già sulla poltrona di Ministro della Difesa (un’assicurazione anti-golpe?); non fare caso neppure al primo pronunciamento internazionale di Tsipras, con il quale si è discostato dalla linea europea delle sanzioni contro la Russia espansionista di Putin. Viene in mente un precedente piuttosto infelice: la grande attesa per le presidenziali francesi del 2012, la speranza che Francois Hollande potesse spezzare l’asse dell’austerità Parigi-Berlino, orientando il timone dell’Europa verso più crescita, più flessibilità, più democrazia. Oggi, a tre anni di distanza, bisogna ammettere che quelle speranze sono andate in gran parte deluse, se è vero che la Francia socialista non si è dimostrata poi così diversa da quella sarkozyana nel proseguire sulla scia della sintonia con la Germania della Merkel, rivendicando anacronisticamente un ruolo di primo piano che non le appartiene più e tradendo così le sue promesse di cambiamento. L’eurocritico Hollande si è arreso all’eurodogmatismo tedesco.

C’è da sperare che l’elpìs greca non si riveli altrettanto vana e che non si vada incontro ad una nuova delusione, stavolta di segno opposto, con l’appiattimento dell’eurocritico Tsipras sulle posizioni dei suoi alleati euroscettici. Il dubbio, difficile da scacciare, è questo: per quanto potremo ancora dire Egò eimì Tsìpras?