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“L’amore bugiardo – Gone Girl”: l’incubo dei media in un thriller magistrale, firmato David Fincher

327di Marco Chiappetta

TRAMA: Missouri. Amy Dunne (Rosamund Pike), celebre scrittrice di romanzi per ragazzi, scompare misteriosamente, forse uccisa, forse rapita, il giorno del quinto anniversario di matrimonio con Nick (Ben Affleck), ex giornalista e marito all’apparenza perfetto. La casa sembra una scena del crimine e in poco tempo il compassato, quasi indifferente Nick viene prima sospettato, infine accusato dai media di uxoricidio. Sottoposto a un circo mediatico, Nick insieme alla sorella gemella Margo (Carrie Coon), con cui gestisce un bar in paese, e all’esperto avvocato Bolt (Tyler Perry), cerca la verità e una via di uscita dall’incubo, finché il rinvenimento del diario segreto che la donna teneva non fa scaturire dubbi sul loro matrimonio e su di loro, mischiando le carte ancora una volta.
GIUDIZIO: Thriller esemplare nella manipolazione dei dettagli, delle psicologie, degli eventi e soprattutto dell’attenzione dello spettatore, il film di David Fincher conferma il suo estro nel genere in cui ha più brillato (“Seven”, il suo capolavoro), ma andando oltre il semplice spettacolo di una trama fitta e appassionante, che ha origine nel romanzo di Gillian Flynn (anche sceneggiatrice), propone una riflessione brillante sulla società contemporanea, ritratta nel delirio di un circo mediatico dello scalpore, del sensazionalismo, del pettegolezzo e del cattivo gusto. È la società massificata delle bugie, dei ricatti sociali e dei compromessi mediatici, dove la rete è il mondo, i processi si fanno in tv e l’innocenza si prova a suon di strategie, sondaggi e conferenze, come una campagna elettorale. L’ipocrisia del mondo dei vip e dei media ai loro piedi, la futilità anche meschina e criminale della stampa televisiva, foriera di pregiudizi e menzogne, creano un mondo incerto, finto, artificiale, disumano, dove niente è ciò che sembra, e tutto è finalizzato all’audience, allo scandalo, alla distruzione – mediatica, fisica, psicologica – dell’altro. Sostenuto da un ritmo esaltante, commentato da una colonna sonora di grande impatto viscerale (Trent Reznor e Atticus Ross, già premiati con l’Oscar per “The Social Network”), ma soprattutto diretto con una sicurezza, un’eleganza, un senso dello spettacolo e un’intelligenza da vero maestro, il film di Fincher è un incubo kafkiano – dove la burocrazia diventa telecrazia –, hitchcockiano per la sottilità del dualismo colpa/innocenza e per gli espliciti rimandi a “La donna che visse due volte” (il film preferito del regista), ma anche molto personale, legato a quell’universo cerebrale, morboso e psicopatico a cui gli eroi del suo cinema sono spesso condannati. Il volto di Rosamund Pike, terribile femme fatale dal fascino di ghiaccio, un’autentica bionda à la Hitchcock, sigilla la grandezza di un film veloce, ambizioso, intrigante, furbo certo, ma arguto e assai incisivo.
VOTO: 4/5