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Barroso a Napoli: l’Europa in crisi per il rigore di alcuni e la riluttanza di altri

di Stefano Santos

Prosegue il viaggio del presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso a Napoli. Dopo la visita di venerdì agli scavi archeologici di Pompei assieme al presidente della Regione Caldoro per seguire gli sviluppi del Grande progetto finanziato con 78 milioni di euro dei fondi europei, e la visita nella prima mattinata di sabato alla redazione del Mattino in via Chiatamone, il presidente uscente della Commissione ha partecipato al sesto appuntamento della sesta edizione del “Sabato delle Idee” alla Sala degli Angeli del Suor Orsola Benincasa. L’evento, organizzato in congiunzione con la Fondazione SDN e l’Università e altre importanti istituzioni culturali cittadine, ha come titolo “Sulla porta dell’Europa: uno sguardo al futuro – L’Unione Europea dalla crisi al rinnovamento” che è anche quello della lectio magistralis del presidente della Commissione, oggetto principale dell’incontro, è stato introdotto dagli interventi prima di Marco Salvatore, fondatore del “Sabato delle Idee” e poi quello di Lucio D’Alessandro, rettore del Suor Orsola. In entrambi c’è la considerazione di come il progetto europeo abbia creato uno spazio di rispetto generalizzato dei diritti e della dignità umana, e cosa straordinaria nella storia del continente e del mondo, di pace duratura e mutua amicizia tra popoli prima in continua guerra tra di loro. Un progetto che tuttavia in questo ultimo decennio ha subito diverse crisi, che la presidenza Barroso è stata chiamata a affrontare. Già ai primi tempi del suo primo mandato, l’interruzione del processo di ratifica della Costituzione Europea a causa della sconfitta nei referendum in Francia e nei Paesi Bassi che ha costretto a ripensare in maniera radicale il progetto, ripartito con il Trattato di Lisbona del 2007, interrotto temporaneamente dal ‘no’ irlandese e concluso nel 2009. La contemporanea crisi dei mercati finanziari e dei debiti sovrani, l’ascesa dei movimenti euroscettici, la rapida integrazione dei paesi dell’est, impone la riflessione sul futuro dell’Europa e sulle sue potenzialità nel promuovere la ricerca e lo sviluppo, a partire anche dalle possibilità offerte dai Fondi strutturali e di investimento del 2020.

L’intervento di Barroso, che il 1° novembre sarà sostituito dal lussemburghese Jean-Claude Juncker, è stato prima un saluto in italiano elogiativo di Napoli e della sua storia millenaria, culla dei valori europei, per poi passare alla trattazione principale in inglese. La tesi sostenuta da Barroso è che il progetto europeo, dopo un decennio di crisi, non si è né rafforzato né indebolito (dalla domanda Is Europe stronger or weaker?), quanto perfezionato, meglio preparato alle sfide, citando le parole del padre fondatore Jean Monnet, che affermava che l’Europa sarà forgiata dalle crisi, e sarà la somma delle soluzioni adottate per quelle crisi.
Una prima evidenza si ritrova nei meccanismi che hanno portato all’assetto delineato dal Trattato di Lisbona: un maggiore dialogo tra gli stati membri nella sua definizione, una più graduale integrazione, con l’epurazione dei riferimenti alla costituzione e alla creazione di entità sovranazionali, al fine di crearvi un maggiore consenso.
Nel trattamento della crisi dei mercati finanziari e dei debiti sovrani, causata da un lato dalla spinta disastrosa dei colossi americani e dall’altro dalle politiche irresponsabili dei governi e dalla mancanza di investimenti e competività, affrontata dall’Unione Europea, sempre in collaborazione con gli stati (perché nessuna decisione viene imposta dall’Europa per diktat), con la creazione di uno tra i mercati finanziari con il più alto grado di controllo e unito dal punto di vista della politica bancaria con la BCE, in grado di rispondere rapidamente ai mutamenti dei mercati.
Un complesso di azioni che ha sovvertito le previsioni degli economisti e dei pessimisti riguardo alla fine dell’Unione Europea, dimostrando resistenza e versatilità senza per questo chiudersi in sé stessa, aprendosi addirittura a nuove entità, raddoppiando il numero degli stati membri in quarto del tempo che ci è voluto per costruire l’Europa dei 15. Con il bilancio finale rivendicato nel suo attivo dai governi nazionali e nel suo passivo attribuito alla pressione dell’Europa (“ce lo chiede”), pur sempre da incrementare, in uno sforzo riformatore.

Perché i governi dei paesi che più hanno subito la crisi e che ancora non riescono ad avere risultati apprezzabili da un punto di vista economico si trovano in queste condizioni a causa della loro negligenza, la loro riluttanza alle riforme strutturali e agli investimenti, ha affermato Barroso rispondendo alle domande poste da Mario Orfeo, direttore del TG1 e moderatore dell’incontro e poi a quelle poste dai partecipanti al convegno. L’esempio più esemplare è quello Italiano, che è tra i paesi che ha registrato il record negativo nel fronte degli investimenti e nell’uso dei fondi europei e che per questo non riesce a riprendere la strada verso lo sviluppo e la crescita. Un paese che ha le più alte tasse sull’energia e sul lavoro dipendente, in cui la giustizia è lenta sebbene l’operato costante dei magistrati, intrappolata dalla burocrazia, in cui la figura di Matteo Renzi, che ha portato energy and enthusiasm in Italia, e i suoi progetti di riforma strutturale dell’Italia possono costituire una via giusta per la ripresa del paese e dell’aumento della competività, essendo l’Italia fondamentale per il successo del progetto Europeo.
Ma anche i paesi più ricchi e stabili, come la Germania, devono giocare un ruolo più propositivo, abbandonando l’impostazione di assoluto rigore finanziario e perseguire una politica orientata alla crescita, nel segno fondamentale della solidarietà. Altrimenti tutto il meccanismo si inceppa.
Posizioni assunte dal prossimo ‘ex’ presidente della Commissione Europea e quindi con un maggiore tasso di “sincerità”, che ha inteso di voler ritirarsi dalla vita politica ma non dalla vita attiva, per dedicarsi all’attività accademica, di conferenziere e pro bono nelle associazioni, avendo sempre come riferimento la sua esperienza decennale nelle istituzioni europee. Esprimendo alla fine un rammarico per come è stato raffigurato dai media e dalla stampa, sia per mancanze sue, che per il pregiudizio che ha subito provenendo da una realtà periferica dell’Europa, il Portogallo, comparata a quelle da cui sono provenuti i passati presidenti, non ultimo quello eletto Jean-Claude Juncker, del Lussemburgo, nazione piccola, ma che conta già tre presidenti per il suo essere dirimpetto al cuore delle istituzioni europee.