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A Genova con Libera, in centomila per non dimenticare le vittime della mafie. Don Ciotti: “La zona grigia è il vero problema”

A Genova con Libera


foto di Roberto P. Ormanni
di Ilaria Giugni

GENOVA – Genova, 17 marzo, in centomila marciano con Libera per la XVII giornata della Memoria e dell’Impegno per le vittime della mafia.
Anche quest’anno la primavera arriva in anticipo e il capoluogo ligure rifiorisce a pochi mesi dall’alluvione, che l’aveva duramente colpito lo scorso novembre.
E’ un’invasione pacifica quella dei volontari di Libera: il giallo, l’arancio e gli altri colori delle bandiere dell’associazione si impadroniscono delle strade della città, dall’arco di piazza della Vittoria fino al Porto Antico, prima dell’abbraccio stretto intorno a don Luigi Ciotti e ai parenti delle vittime.
Gli intervenuti cingono calorosamente Margherita Asta, che dal palco vicino al porto prende la parola a nome dei parenti delle vittime. Una storia drammatica la sua, orfana a undici anni perché il cuore del padre non ha retto alla scomparsa della moglie e dei due figli, uccisi dal tritolo piazzato dalla mafia perché uccidesse il sostituto procuratore Carlo Palermo.
Margherita chiede a gran voce una politica pulita, che ripudi la mafia e la corruzione, e una tutela maggiore per i magistrati e per chiunque combatta il malaffare delle organizzazioni criminali.
Soprattutto Margherita vuole che il 21 marzo diventi una giornata riconosciuta “perché non siano più le lacrime a bagnare la nostra terra, ma germogli il seme del coraggio”.
Subito dopo prende la parola don Ciotti, presidente di Libera. Il suo intervento è, come al solito, il momento culminante della giornata: parole che centrano il punto, che risuonavano nella tua testa marciando, che avresti voluto pronunciare nello stesso modo e con la stessa forza. Parole che leniscono le ferite ancora aperte dei parenti delle vittime, seduti nelle prime file.
“Le parole sono stanche, vogliamo vederle tradotte”, dice il prete anticamorra. E non è retorica: don Ciotti sa che giustizia e responsabilità non sono parole vuote di significato, ma sono prospettive, le basi per il cambiamento della politica e della nostra società. Il primo gradino, dice, è dissolvere la zona grigia della società, fatta di “facce d’angelo” sfoderate in tanti bei discorsi ripagati malamente con i fatti. “La forza della mafia – riflette don Ciotti – non sta nella mafia ma fuori”, nella zona di collusione e connivenza della politica, del mondo delle professioni e dell’imprenditoria.
“La verità passeggia nelle nostre città. Sono l’omertà, la delega e l’indifferenza a dover scomparire” tuona don Ciotti, aggiungendo che è necessario che la politica cominci a fare davvero il suo dovere, mettendo all’ordine del giorno la lotta alla corruzione e una solida strategia di contrasto all’espansione dei capitali mafiosi. Il pensiero di chi ci governa – osserva – deve rivolgersi prima di tutto ai giovani, all’impiego e all’assistenza, perché il progresso economico si traduca in progresso sociale.
L’ultimo pensiero di don Ciotti va nuovamente alle vittime: “Quei proiettili hanno sparato anche su di noi” dice “Quei proiettili ci graffiano dentro”.
L’unica frase in grado di riassumere una giornata densa di significato e di sorrisi e di sentire insieme. In centomila a marciare per lo stesso obiettivo, con la stessa speranza, e può verificarsi qualcosa di insperato: la tua voce, flebile e rotta dal pianto nello scandire il nome di ciascuna delle vittime della mafia, si rafforza e diventa tutt’uno con quella degli altri, in un unico grido che viene da dentro. Senti che un cambiamento è possibile, se siamo insieme, non più divisi dalle bandiere e dai credo diversi, ma spinti da un unico ideale che si chiama giustizia.
Quest’anno, in centomila a Genova per sentire che in ogni passo, davvero, le loro idee camminano sulle nostre gambe.